Carlo V il viaggio in Sicilia - Itinerari in Sicilia, vuoi visitarla ma non sai da dove iniziare?

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Il viaggio e i luoghi di Carlo V in Sicilia

Carlo V il viaggio in Sicilia, nell’ agosto del 1535 l’imperatore, da inizio a un viaggio che attraverso la penisola italiana.

Trapani ed il viaggio di Carlo V

Trapani, prima tappa siciliana, Carlo V raggiunse Palermo, dove sostò un mese; si diresse quindi verso Messina, seguendo la strada delle montagne, che passava dall’entroterra toccando Polizzi, Nicosia, Troina, Randazzo e Taormina. Ai primi di novembre Carlo ripartì da Messina alla volta di Napoli, attraverso la Calabria proseguì per Roma
Il viaggio ebbe, un carattere celebrativo della vittoria cristiana sugli infedeli e della grandezza dell’Impero, un volere riaffermare la supremazia spagnola. Infatti Carlo V arrivava in Sicilia da conquistatore dopo aver posto sotto tutela la vicina Tunisia con l'intento di sottrarla all' influenza dei turchi. Carlo lasciava l' Africa il 17 agosto del 1535 ed arrivava in vista di Trapani il 20 successivo
Ci limiteremo a descrivere la fase siciliana del viaggio ebbe inizio, come s’è detto, con lo sbarco a Trapani, dove Carlo approdò il 20 agosto insieme al suo numeroso seguito e a ventimila schiavi cristiani liberati, dopo tre giorni di navigazione
La città contava circa quindicimila abitanti ed era la quarta dell’isola dopo Palermo, Messina e Catania, forse la terza, considerando la sola popolazione, il suo porto rivestiva una notevole importanza per gli interessi commerciali e militari spagnoli nel Mediterraneo occidentale, al punto che lo stesso imperatore definì la città “chiave del Regno”, con grande orgoglio dei suoi cittadini. A Trapani Carlo V sostò alcuni giorni, alloggiando nel vecchio palazzo dei Chiaramonte, poi Pepoli, situato di fronte alla chiesa di San Nicola, che per questo motivo conservò a lungo lo stemma imperiale. L’atto politico più importante del soggiorno trapanese fu la conferma dei privilegi della città, avvenuta con solenne giuramento dell’Imperatore nella Cattedrale. La conferma dei privilegi che le comunità o i singoli gruppi sociali possedevano a volte anche da molto tempo, costituiva, com’è noto, un atto di grande rilevanza politica e con significative ricadute di carattere sociale ed economico; non a caso, quindi, esso si sarebbe ripetuto, attraverso lo svolgimento di cerimonie pubbliche solenni e attentamente codificate, anche in altre città dell’isola.

A Trapani sosta dodici giorni, (qualcuno sostiene cinque, ma sbaglia) ospite in un’ala, quella dinanzi l’ingresso laterale della Chiesa di San Nicola, dell’enorme palazzo già dei Chiaramonte, acquistato nel 1419 da Riccardo de Sigerio (antico nome dei Sieri Pepoli) e poi diviso tra i tre rami della famiglia. Ancora oggi, alzando lo sguardo, si può ammirare, sull’angolo esterno del palazzo, l’Effigie del Sovrano scolpita a ricordo di quel soggiorno.

Per prima cosa  sbarca ventimila cristiani liberati dalle prigioni tunisine, già da Tunisi aveva scritto delle lettere chiedendo di predisporre le strutture ospedaliere della città.
Poi in solenne adunanza convocata nella Chiesa Senatoriale di Sant’Agostino, già ospizio dei Templari, giura di confermare tutti i privilegi concessi dai suoi predecessori alla città di Trapani ed all’intero Regno di Sicilia. “civitas invictissima in qua Caesar primum iuravit”. Si reca in visita al Santuario della Madonna di Trapani, alla quale fa omaggio di due antiche porte in legno e ferro predate a Tunisi. Ispeziona le fortificazioni e ordina ai suoi architetti di rifarle interamente, sopratutto a difesa del porto. Farà successivamente stanziare al Parlamento del Regno di Sicilia per le mura di Trapani la somma di sessantaseimila fiorini.

Il 2 settembre, attraverso la porta di Levante,che da quel giorno e sino al suo smantellamento “italiano” si chiamerà “porta d’Austria”, parte per Monreale, dopo aver regalato alla Chiesa di San Nicola, quella davanti casa, una splendida vasca di alabastro orientale, anche quello bottino della spedizione a Tunisi, da utilizzarsi come fonte battesimale.

Porta con sé un particolare omaggio: un ostensorio a lanterna in rame dorato e corallo, regalo dei pescatori di corallo trapanesi, che lo ringraziano per aver liberato il mare dai pirati e chiedono di poter sfruttare i grandi banchi coralliferi di Tabarca.

Carlo V lasciò Trapani alla fine di agosto diretto verso Palermo, sostò una notte al Castello di Inici ospite di Giovanni Sanclemente, un nobile di origine catalana che era stato suo compagno d’armi a Tunisi, e il 1° settembre raggiunse Alcamo, popolosa città feudale possesso dei Cabrera, dove trascorse due notti, ospitato nell’imponente castello trecentesco.

Alcamo ed il viaggio di Carlo V

Da Alcamo il 3 settembre il corteo imperiale raggiunse, con un’altra giornata di viaggio, Monreale. La strada principale, a quel tempo, toccava Partinico e “tagliava” attraverso le montagne che circondano Palermo. Questo percorso, documentato fin dall’età normanna, veniva preferito rispetto a quello costiero perché più breve e al sicuro dagli attacchi dei pirati. Al Bosco di Partinico - allora un villaggio di poche decine di case situato in un’area scarsamente popolata - il corteo imperiale s’incontrò con una delegazione guidata dal presidente del Regno, Simone Ventimiglia e composta da un folto gruppo di baroni, nobili e magistrati palermitani, partiti da Palermo per rendergli omaggio. Isidoro La Lumia dà una vivace cronaca dell’incontro: “nel bosco di Partinico un illustre corteggio usciva a incontrarlo: Simone Ventimiglia, Presidente del Regno, e con esso i principali baroni; i quali tutti venivano a cavallo, in gran pompa di abbigliamenti e di arredi, e un traino lunghissimo di scudieri e di paggi.

Monreale ed il viaggio di Carlo V

Dal bosco di Partinico il corteo imperiale raggiunse Monreale, piccolo centro di quattromila abitanti raccolto intorno all’Abbazia e al Duomo, importantissimo nella geografia politico-religiosa siciliana per la presenza di uno dei più vasti, ricchi e influenti vescovadi dell’isola. Qui Carlo V abitò nell’ex-palazzo reale normanno, sito accanto al Duomo, fino al 12 settembre: durante questo ampio intervallo di tempo ebbe modo di raccogliere tutte le notizie utili sull’isola, di dare udienza ai nobili che desiderassero incontrarlo per rendergli omaggio (ma anche per perorare questa o quella causa), e far sì che le autorità di Palermo avessero il tempo necessario a preparare il suo ingresso trionfale nella capitale.

Palermo ed il viaggio di Carlo V

L' entrata nella capitale isolana avvenne dall' odierna Porta Nuova, allora chiamata Porta del Sole, ingresso che avvenne la mattina del 13 settembre 1535: al suo arrivo, quattro gentiluomini andarono a riceverlo fuori le mura, e gli donarono un cavallo bianco di razza siciliana, ricoperto d’oro. Il sovrano e il suo seguito varcarono la Porta Nuova, non la costruzione che vediamo attualmente, ma una precedente, di età medievale
Percorso il primo tratto del Cassaro tra il popolo festante, accorso da ogni parte dell’isola, e gli spari delle artiglierie, raggiunse la Cattedrale, dove l’attendevano il clero, il pretore Guglielmo Spatafora e molti nobili. Carlo V s’inginocchiò davanti all’altar maggiore mentre veniva cantato il Te Deum laudamus. Il pretore gli si avvicinò, s’inchinò tre volte e gli chiese umilmente di voler osservare e conservare i privilegi civici. Il sovrano, dall’alto della sua maestà, rispose di volerlo fare e subito dopo lo giurò solennemente sul Vangelo portogli dal vescovo. Si trattava, lo ribadiamo, non di gesti casuali, ma di un rituale codificato dal preciso significato simbolico e dal chiaro valore politico. Terminata la cerimonia, l’Imperatore risalì a cavallo e il corteo riprese a sfilare tra due ali di popolo; le case avevano le finestre ricoperte da drappi rossi e gialli: i colori degli Asburgo. Tanto entusiasmo derivava dalla fama del personaggio e delle sue imprese; inoltre, Carlo V era il primo sovrano a visitare la Sicilia e Palermo dai tempi di Alfonso il Magnanimo (1416-58). Il corteo imperiale si arrestò davanti al Palazzo Aiutamicristo, dove Carlo avrebbe abitato durante il suo soggiorno palermitano. L’edificio, che a quel tempo era uno tra i più sontuosi della città, apparteneva al banchiere pisano Guglielmo Aiutamicristo, cassiere ufficiale del Regno.
La scelta di soggiornare presso l’Aiutamicristo non era casuale e rientrava in una precisa strategia che Carlo seguì durante tutto il suo soggiorno siciliano: privilegiare l’ospitalità dei nobili di origini spagnole, come i Cabrera, legati in vario modo alla corona o addirittura personalmente al sovrano - come, a Inici, il Santocanale - e, ove ciò non fosse possibile, risiedere presso i conventi, come a San Placido Calonerò. Infatti la volontà di ricucire i rapporti tra monarchia e nobiltà siciliana non escludeva, da parte dell’Imperatore, il desiderio e l’opportunità di mantenere una certa distanza dalla infida classe dirigente locale.
Nei tre giorni seguenti nella vicina piazza della Fieravecchia i migliori cavalieri dell’isola intrattennero il Sovrano combattendo in una serie di giostre e tornei, ampiamente descritte dalle “Memorie” riportate dal Castaldo nel suo studio. Il 16 settembre l’aspetto pragmatico e politico riprese il sopravvento su quello ludico e celebrativo: Carlo aveva infatti convocato il Parlamento, le cui sedute si tennero allo Steri fino al 22 settembre. Il Parlamento concesse un generoso donativo di 250.000 ducati in cambio della conferma di una serie di privilegi e della richiesta di numerose concessioni in campo economico, giuridico e amministrativo.
Chiuso il Parlamento, Carlo V trascorse ancora tre settimane a Palermo ed è certo che rimase colpito dalle dimensioni e dall’aspetto della città, che, con i suoi oltre sessantamila abitanti era tra le più popolose d’Europa, e che proprio allora attraversava una fase di “boom” demografico e di profonda trasformazione urbanistica.

Il corteo varcò l’Oreto quasi certamente transitando dal Ponte dell’Ammiraglio e raggiunse Termini la sera dello stesso giorno, dopo aver percorso 25 miglia lungo la via costiera e pericostiera che attraversava la Piana di Bagheria e i territori di Casteldaccia, Altavilla e Trabia. Lungo il tracciato stradale a fondo naturale, che in gran parte ricalcava la romana Via Valeria, e sul quale in età borbonica si innestò la SS113, si trovavano diversi ponti, quasi tutti ricostruiti in età successiva; l’unico anteriore al passaggio di Carlo V e tuttora esistente è il piccolo e prezioso “Ponte Saraceno”, o di “San Michele”, ad arco acuto, sul torrente San Michele, documentato dal XIII secolo.
Termini era un’importante città demaniale notevole soprattutto per il suo porto - tanto che di lì a poco il governo spagnolo l’avrebbe circondata di una possente cinta muraria -, conosciuta per le acque termali, di cui, secondo la tradizione, l’Imperatore avrebbe voluto provare le proprietà terapeutiche facendo un bagno.

Lasciata Palermo il 14 ottobre il resto del viaggio avvenne a tappe forzate. Utilizzando la via dei monti, l' odierna Statale 120, l' imperatore pernottò a Polizzi Generosa
Il 14 ottobre Carlo ripartì per Messina attraverso la Porta di Termini, posta all’inizio dell’odierno Corso dei Mille, il cui tracciato, come hanno mostrato anche alcune recenti scoperte archeologiche, coincide con quello di età medievale e moderna.

Quella di Piazza Bologni è sicuramente una tra le statue più famose a Palermo, che incuriosisce turisti e gli stessi palermitani.
Nel 1535 l’imperatore Carlo V d’Asburgo visitò il regno di Sicilia a seguito dell’impresa di Tunisi. Con l’intento di “controllare” i suoi nuovi possedimenti italiani, una volta approdato nell’isola siciliana venne accolto come un salvatore, avendo sconfitto i mori che imperversavano sulle coste. Il 20 agosto sbarcò a Trapani, da lui definita come “chiave del Regno”, per poi procedere con il tour siciliano fino a Palermo, il 13 settembre 1535, soggiornando a Palazzo Ajutamicristo.

La statua nel 1630, cent’anni dopo la sua visita in Sicilia, venne commissionata una statua commemorativa allo scultore Scipione Li Volsi, della celebre famiglia di artisti di bottega Li Volsi, ai tempi molto attivi sul territorio siciliano.
L’opera era inizialmente pensata per essere installata al centro dei Quattro Canti, piazza Vigliena, in una delle nicchie destinate ai re, ma essendo già presenti altre statue in marmo, la bronzea statua dell’imperatore venne trasferita a Piazza Bologni, subendo diversi spostamenti.
La statua è posta su un piedistallo ornato di trofei militari, opera di Giacomo Cirasolo e Luigi Geraci del 1631, le altre decorazioni: un'aquila bicipite imperiale (l'impero), le colonne d'Ercole (l'impero oltre lo stretto di Gibilterra), e l'idra a sette teste (l'eresia luterana),  sono opera di Giovanni Travaglia del 1632. Nel periodo fascista, per consentire ai gerarchi, che arringavano le folle in questa piazza, una migliore visione, il monumento fu trasferito in fondo alla piazza e fu riposto nella sua antica postazione solo alla fine del secondo conflitto mondiale.

La figura di Carlo V venne rappresentata ricoperto d’alloro, pianta della vittoria, in abiti da guerra e provvisto di armatura e spada. Con la mano sinistra stringe un bastone di comando, con la mano destra, abbassata e con le dita aperte, giura obbedienza al Regno di Sicilia e fedeltà alla Costituzione e ai privilegi da lui concessi al Regno di Sicilia.

Quella mano destra, nel corso degli anni, ha stimolato la fantasia più fervida dei palermitani, tra le molte interpretazioni, una è  che quella mano aperta indica il numero cinque, cioè “i cinque giudici infedeli che dovranno essere scorticati vivi”. Chi erano questi cinque giudici infedeli?
Palermo un giovane rimasto orfano ereditò tutti i beni dei ricchi genitori, che furono però affidati al tutore che amministrava i beni del ragazzo. Una volta divenuto adulto chiese quindi aiuto a cinque famosi giudici, che furono intercettati dal tutore: corrotti e ben pagati, ignorarono la richiesta del giovane.

Allora il povero orfano, sapendo che l’imperatore Carlo V si trovava in visita in Sicilia, chiese un’udienza all’imperatore, raccontandogli tutta la storia. Mosso da un forte senso di giustizia, il re escogitò un piano: si travestì da abate e seguì tutta la causa tra il ragazzo e il tutore.

Quando i giudici corrotti stavano per emanare la sentenza e darla vinta al tutore, l’imperatore si alzò dalla sedia, svelò la sua vera identità e diede ragione al ragazzo, costringendo il tutore a cedere tutti i beni.
I giudici invece, essendo stati corrotti, li fece scorticare vivi, e con le loro pelli fece rivestire cinque sedie del Tribunale di Palermo: questa sarebbe stata la fine di tutti i giudici che cedevano alla corruzione.
Un'altra versione Carlo V lanciò un ordine verso i giudici corrotti, facendoli legare alle corse dei cavalli e trascinati lungo quella strada che venne poi chiamata “calata dei giudici”, oggi “Discesa dei giudici”.

Polizzi Generosa ed il viaggio di Carlo V

Superata Caltavuturo, Carlo raggiunse Polizzi, che le “Memorie” ricordano, curiosamente, come un “paese… dove l’inverno il sole non vi cala…” passando probabilmente dall’Eremo di San Gandolfo ed entrando in città dalla Porta della Guardiola. Polizzi rivestiva a quel tempo notevole importanza: principale centro delle Madonie fin dal XIII secolo ed importante nodo stradale, ospitava due fiere annuali, privilegio che tra le città della Sicilia interna era condiviso solo da Piazza Armerina e Nicosia. L’ingresso fu, anche qui, trionfale: tra salve di artiglieria, musiche e invocazioni della folla, si fecero avanti i nobili, che offrirono al sovrano capi di selvaggina catturati vivi, suscitandone la divertita curiosità. Del soggiorno di Carlo a Polizzi possediamo un breve resoconto redatto da un anonimo cronista locale: “alli 14 di ottobre 1535 di giovi, la sira, vinni in la città di Polizzi don Carlo V: intrau per la via di S. Calogero, pusau in la casa di magn. Joanni Bartulu la Farina, poi si partiu l’indimani chi fui lu vennari ad ora di magnari e magnatu chi appi, giu pri susu, passau per la cresia di S. Franciscu e sciu alla Porta Granni”.

L’indomani, 15 ottobre, Carlo ripartì diretto a Polizzi Generosa, distante un’altra giornata di cammino. Dopo qualche miglio, la sua curiosità fu attratta da uno sperone roccioso visibile lungo le pendici settentrionali del monte San Calogero.
Si racconta che, colpito dalla sua forma, Carlo volesse salirvi; da allora esso è chiamato “Cozzo dell’Imperatore”, superate le Case Brucato, la strada si biforcava: verso est la via costiera per Messina, la
“Via di Messina per le Marine”; verso sudest la “Via di Messina per le montagne”. Nella programmazione del viaggio la scelta era caduta su quest’ultima perché la strada costiera, oltre che meno agevole a causa delle fiumare e delle paludi, era infestata da pirati e briganti. Lungo la “Messina Montagne”, inoltre, si trovavano alcune importanti città demaniali. La biforcazione cadeva non lontano da un ponte sul fiume Torto detto “della meretrice”, a quel tempo ancora in funzione.

Il comune è interessato dalle seguenti direttrici stradali, la Strada Statale 120 dell'Etna e delle Madonie, la Via dei Frati camminamenti fatti in epoche passate, da parte dei frati mendicanti o monaci di cerca, è un antico percorso viario di interesse religioso e naturalistico, che si snoda tra Caltanissetta e Cefalù, in Sicilia. Il cammino fa parte di realtà associative siciliane e nazionali quali la Rete delle Vie Sacre di Sicilia e dei Cammini del Sud.
Inoltre, è noto come i pellegrini che andavano in Terra Santa; una volta giunti a Polizzi Generosa proseguivano in direzione di Isnello fino a Cefalù da dove si imbarcavano per Messina per poi raggiungere il Santo Sepolcro.

Nicosia ed il viaggio di Carlo V

Raggiunta Nicosia fu accolto presso la Porta Palermo da quattro giurati della città; traversò la città “su generoso destriero assiso, e in regal veste incedendo”, sempre “immerso” nell’entusiasmo popolare. L’avvenimento viene rievocato ogni anno con una cavalcata storica. Carlo volle visitare le due chiese più importanti, la Cattedrale e S. Maria Maggiore; qui, alla presenza del clero e della folta nobiltà locale, accomodatosi su una sedia in legno di noce riccamente intagliata, tuttora esistente e da allora detta Trono di Carlo V, confermò i privilegi della città, a quel tempo, con i suoi undicimila abitanti, tra le maggiori dell’isola.
L’imperatore trascorse la notte nel palazzo del regio milite Gian Filippo la Via.

Il 16 ottobre il corteo imperiale si inoltrò nel cuore delle Madonie, nei territori delle Petralie e di Gangi, accolto per strada dalla gente che gli andava incontro.
Pare abbia sostato brevemente al convento di Gangi Vecchio, dove la sua presenza era ricordata da uno stemma imperiale posto sull’ingresso principale.

Nicosia ovvero la città dei 24 baroni e delle cento chiese Qui per l'occasionale visita di Carlo V gli artigiani del luogo, realizzarono un apposito piccolo trono, che viene tuttora conservato nella Basilica di S. Maria Maggiore e che è appunto ricordato come sedia di Carlo V. La Cattedrale di Nicosia, dedicata a san Nicola di Bari, fu edificata intorno al 1340 come ampliamento di una preesistente cappella e ha subito notevoli trasformazioni nel corso dei secoli. Il 17 marzo 1817, con bolla di Pio VII, fu eretta a cattedrale, la Basilica di Santa Maria Maggiore, del periodo normanno, venne consacrata nel 1267 e crollata nel 1757 a causa di una frana, venne ricostruita nel 1767 in un altro luogo e completata nel 1904, storicamente è la chiesa della comunità di rito latino.
Di spirazione medievale le celebrazioni religiose, tra queste, sono rilevanti il Corteo storico "Carlo V visita Nicosia", che si svolge nel mese di agosto, l'Infiorata “Nicosia in fiore” nel mese di giugno; “Calici sotto le stelle”, che si svolge il primo sabato d'agosto. Il comune è interessato dalle seguenti direttrici stradali SS120 dell'Etna e delle Madonie

Troina ed il viaggio di Carlo V

Il 17 il corteo proseguì per Troina, distante solo 12 miglia, passando, probabilmente, dal Ponte di Cerami, documentato fin dal XIII secolo e ricostruito nelle forme attuali proprio al tempo di Carlo V.
Troina era una città piccola ma prestigiosa: era stata la “base operativa” del Gran Conte Ruggero d’Altavilla al tempo della conquista normanna dell’isola e la prima diocesi vescovile della Sicilia normanna. A Troina, che lo accolse entusiasticamente, ebbe luogo l’episodio che ha dato origine alla tradizione della cubbàita.

Secondo alcuni autori, a Troina Carlo V avrebbe sostato poche ore, prima di proseguire per Randazzo, qui vi avrebbe invece trascorso la notte del 17, ospite nel convento dei Padri Francescani Conventuali.

Cavalcata di Troina come . Le cronache descrivono tre cavalieri percorrevano numerose volte, avanti e indietro, l’angusta via gremita di popolo posta lungo il crinale della montagna, l’attuale via Conte Ruggero. Ogni cavaliere reggeva in mano dei fiori, mentre sulla spalla teneva una bisaccia colma del tradizionale torrone, la cosiddetta “cubbàita”, che lanciavano sulla folla che si accalcava per afferrare i doni. Un valletto che precedeva il cavaliere portava altre provviste dentro le bisacce, mentre una seconda comparsa, il palafreniere, reggeva le redini del cavallo. Si usava anche lanciare colombi e galletti con la testa ripiegata sotto l’ala per impedirne il volo. A conclusione della festa i tre cavalieri attraversavano un palco costituito da un arco sormontato da un’aquila dorata.
Il termine “cubbàita”, dall’arabo “qubbiat” = “mandorlato”, sta ad indicare ancora oggi, una sorta di torrone introdotto in Sicilia dagli arabi, preparato con mandorle o semi di sesamo e miele, solitamente tagliato a rombi di piccola pezzatura ed involtato con la carta.
Il primo sabato di giugno si svolge la processione per le vie della città, in cui vengono trasportate le reliquie del Santo. Il giorno seguente, nel primo pomeriggio si svolge il corteo storico della Cavalcata o Kubàita, nel quale si ricorda l'ingresso a Troina dell'imperatore Carlo V, e nel tardo pomeriggio avviene il passaggio della Vara che trasporta il simulacro di San Silvestro. Il lunedì si concludono le festività con il rientro del simulacro del Santo dalla Chiesa di San Silvestro alla Chiesa Madre

Randazzo ed il viaggio di Carlo V

Carlo V si diresse quindi verso Randazzo, piccola (seimila abitanti) e prestigiosa città demaniale, più volte soggiorno dei re aragonesi, sempre seguendo la “Messina Montagne”. Lungo il percorso transitò probabilmente dal Ponte di Failla, edificato nel Quattrocento sul fiume di Troina e ne discese la valle; superato il Simeto sostò forse brevemente all’Abbazia di Maniace, anche se non abbiamo prove certe al riguardo. Tre chilometri prima di entrare a Randazzo, nel piano della Gurrida, fu accolto dal Civico Magistrato e dalla nobiltà. Il magistrato gli consegnò una tazza d’argento con le chiavi delle porte della città. Dalla Gurrida il corteo entrò a Randazzo per la trecentesca porta di San Martino, o di Palermo, abbellita da un sontuoso apparato di archi trionfali posticci, fra il tripudio generale. Anche in questo caso l’Imperatore avrebbe confermato - una volta giunto a Messina – tutti i privilegi, compreso quello, importantissimo, di città demaniale. Trascorse la notte nell’antico Palazzo Reale aragonese e secondo la tradizione, proprio da una delle sue finestre, prima di andare a dormire, commosso dall’entusiasmo popolare, avrebbe salutato la folla festante con la celebre frase: “siete tutti cavalieri”.
In suo onore, la finestra venne murata, affinché nessuno, dopo di lui, si potesse affacciare.

Randazzo borgo medievale , sede dei tre parchi siciliani

Randazzo cittadina sede di tre Parchi (Alcantara, Etna e Nebrodi) dalla ricca testimonianza storico-architettonica, borgo Medievale sito alle pendici dell’Etna, da non perdere le storiche chiese del paese. Infatti quest’ultime rappresentano gli antichi quartieri della città abitata da greci, latini e lombardi.
La Chiesa di Santa Maria (quartiere latino) è la Basilica principale. Risalente alla prima metà del 1200, è costituita da conci di pietra lavica e arenaria. La leggenda vuole che all’origine della sua fondazione vi sia il ritrovamento di una fiammella accesa e un’immagine della madonna sulla quale venne edificato il primo altare.
La Chiesa di San Martino (quartiere lombardo) è la chiesa dal campanile più bello di Sicilia. Quest’ultimo, alto 41 metri, risale probabilmente all’anno 1000.
La Chiesa di San Nicolò (quartiere greco) risale al XIII secolo.
Nell’omonima piazza dove è sita, potrete ammirare la statua rappresentante l’unione dei tre quartieri: Rannazzu vecchiu. Essa, impersonata dal Gigante Piracmone, ingloba i simboli dei tre quartieri: il leone simbolo dei Greci, il serpente simbolo dei Lombardi, l'aquila simbolo dei Latini.

Valle dell' Alcantara ed il viaggio di Carlo V

Il 18 o il 19 il corteo imperiale discese lungo la valle dell’Alcantara.
Raggiunta la costa, il corteo entrò a Taormina, dove Carlo e il suo seguito trascorsero la notte, attraverso la Porta Catania. La sosta a Taormina non è documentata dalle fonti,

Alcantara fiume e le sue gole

L'Alcantara è un fiume della Sicilia orientale lungo 53 chilometri, tributario del mar Ionio. Il suo bacino idrico si estende nel territorio delle città metropolitane di Messina e di Catania ed è tutelato dall'Ente Parco Fluviale dell'Alcantara. I Comuni del Parco presentano testimonianze storiche e meritando una visita per conoscere meglio le origini della Valle.

Taormina ed il viaggio di Carlo V

Va però ricordato che a quel tempo da Randazzo a Taormina correva una giornata di viaggio e che Taormina, non esistendo la strada alla base del Capo S. Alessio, era un punto di passaggio obbligato lungo la costa ionica. Una Taormina “preturistica”, per noi inimmaginabile, racchiusa entro le sue mura medievali, della quale possiamo forse avere una vaga idea osservando le fotografie del tardo Ottocento e degli stessi luoghi oggi.
Il 19 o il 20 ottobre Carlo ripartì seguendo la costa ionica. Sostò brevemente al castello di S. Alessio, cui giunse dopo aver affrontato una lunga e faticosa salita. La presenza delle ripide pendici
dei Peloritani, che giungono in più punti fino al mare, e dei letti delle fiumare rendevano infatti il percorso da Taormina a Messina, lungo circa 30 miglia, particolarmente difficile, come risulta da tutta la documentazione storica in possesso degli studiosi, da Idrisi a Goethe.

San Placido calonerò ed il viaggio di Carlo V

Le difficoltà logistiche e, soprattutto, l’opportunità di preparare degnamente l’ingresso trionfale a Messina, imposero una sosta di due giorni al monastero di San Placido Calonerò, situato su un poggio 12 miglia a sud di Messina, in bellissima posizione sullo Stretto. A ricordo del soggiorno di Carlo V l’abate fece realizzare un busto dell’Imperatore, ancora oggi esistente.

Monastero di San Placido Calonerò

Il monastero di San Placido Calonerò o abbazia e monastero benedettini di Santa Maria Maddalena e di San Placido di Calonerò è stato un luogo di culto di Messina.
Oggi le strutture ubicate nella frazione di Ponte Schiavo sono adibite nella quasi totalità a usi civili. Il 18 novembre 1901 è aperta la "Regia Scuola Pratica d'Agricoltura", ancora oggi le strutture ospitano l'istituto tecnico agrario intitolato a "Pietro Cuppari" e l'enoteca provinciale.
L’enoteca provinciale inaugurata il 10 Ottobre del 2010, famosa per la produzione del vino FARO DOC, una delle eccellenze della provincia di Messina.
È un vino composto da 5 varietà, Nerello Cappuccio, Nerello Mascalese, Nero d’Avola, Sangiovese e Nocera, coltivate nel terreno circostante.

Messina ed il viaggio di Carlo V

Il 22 ottobre Carlo lasciò il monastero e, per la porta che da allora fu detta Imperiale, entrò trionfalmente a Messina, “la seconda sorella del Regno”. Ricca e operosa, Messina era allora, con i suoi 35.000 abitanti, la maggiore città siciliana dopo Palermo, ed una delle più popolose d’Italia. Perciò essa non poteva non tributare all’Imperatore grandi onori: lungo la strada principale, a intervalli regolari, l’architetto Polidoro da Caravaggio e il matematico Francesco Maurolico, figura di spicco nel panorama culturale siciliano del tempo, avevano realizzato tre archi trionfali, uno di edera, un altro di ulivi e l’ultimo di alloro, che rappresentavano la Concordia, la Pace e la Vittoria, tutti simboli assai cari a Carlo; i banditori precedevano il corteo invitando le migliaia di cittadini ad acclamare il sovrano, secondo un copione che abbiamo già visto, andarono le autorità civili e religiose della città. Il corteo, diretto in Cattedrale sarebbe stato accompagnato da due spettacolari carri trionfali allegorici che celebravano la gloria, la potenza e la virtù del grande sovrano. L’indomani, 23 ottobre, Carlo V partecipò alla messa solenne ricevendo in dono due bacili d’argento contenenti 10.000 scudi d’oro con le armi della città.
Nei giorni seguenti Carlo confermò i privilegi di Messina, Randazzo e Troina, diede disposizioni per la repressione del brigantaggio, nominò il nuovo viceré dell’isola nella persona di Ferrante Gonzaga e autorizzò i cittadini di Lentini a fondare una città, che venne edificata nel 1551 e che, in suo onore, sarebbe stata chiamata Carlentini.

L’acuirsi delle tensioni politiche internazionali cui abbiamo accennato e l’avvicinarsi dell’inverno lo indussero infine a riprendere la via per Napoli: il 3 novembre, varcato lo stretto a bordo di una galera messinese, in ossequio a un privilegio che si voleva risalisse ad Arcadio, il corteo iniziò la lunga e faticosa risalita delle due “Calabrie”, l’Ultra e la Citra, da cui, per il Vallo di Diano, dopo una celebre sosta alla Certosa di Padula, sarebbe pervenuto a Napoli.

La storia della frutta di Martorana, Palermo

L’ordine religioso era stato istituito nel 1194 dalla nobile Eloisa Martorana. Infatti l’ordine prese il suo nome, come era avvenuto per la Chiesa adiacente al convento.

Il giardino del loro monastero era conosciuto per gli aranci rigogliosi e carichi di frutti che in estate erano però spogli. Carlo V, notoriamente ghiotto di arance, aveva sentito parlare della dolcezza e succosità degli agrumi prodotti dalle piante di quel giardino, e aveva espresso il desiderio di assaggiarli.

Ma le alte temperature dell’estate palermitana non erano certo adatte a quei frutti tipicamente invernali. Così, le monache della Martorana appesero ai rami degli alberi i dolcetti di marzapane di loro produzione la cui ricetta custodivano gelosamente. Il loro aspetto era talmente simile a quello dei veri agrumi che l’imperatore si convinse della loro autenticità.

Carlo V volle assaggiarli e li trovò deliziosi. In seguito ordinò alle scaltre suore di rifornirlo continuamente di frutta di Martorana. Da allora la pasta di mandorle, ingrediente principale dei dolcetti, prese il nome di “pasta reale” o “pasta riali” in dialetto siciliano, perché non mancava mai a corte.






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