La zecchinetta è uno dei giochi d’azzardo più famosi

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La zecchinetta è uno dei giochi d’azzardo più famosi

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Pubblicato in Cultura e Società · Lunedì 13 Nov 2023
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La zecchinetta (o zecchinetto) è uno dei giochi d’azzardo più famosi nel regno delle due Sicilie

La zecchinetta (o zecchinetto) è uno dei giochi d’azzardo più famosi nel regno delle due Sicilie e, oggi, sopravvive ancora fra soprannomi di personaggi letterari, come nel caso di Sciascia, in Il giorno della civetta, dove "Zecchinetta" è il soprannome derivante dalla passione per l'omonimo gioco, un personaggio del libro, scritto nel 1960 e pubblicato nel 1961 da Einaudi.
Fu il primo romanzo che parlava di mafia, che tentava di farne capire la mentalità e il suo modus operandi all’Italia del 1960 che stentava ad accorgersi del problema e addirittura le sue istituzioni ne negavano l’esistenza come ebbe a ribadire lo stesso Sciascia nell‘appendice scritta nel 1972. La mafia per Sciascia è una borghesia parassitaria che non imprende ma sfrutta, che sorge e si sviluppa dentro lo stato, non nel vuoto dello stato. Dal libro al film il passo fu breve perché si tratta d’una pellicola di denuncia sociale, vuole rendere esplicita, come del resto il libro, l’esistenza della mafia in Sicilia e del suo sistema di potere.

Ritorniamo al gioco, realizzato dalle carte, un mazzo italiano di 40 carte. Le origini di questo gioco tracciano un filo lunghissimo che collega la Germania con l’Italia. “Zecchinetta” è infatti la storpiatura del termine lanzichenecco, i soldati mercenari tedeschi che, sin dal XVI secolo, frequentarono l’Italia mettendosi al servizio di vari signori della penisola.

Come nasce il gioco d’azzardo

I giochi di carte hanno sempre affascinato metti la possibilità di vincite, la possibilità di affidarsi agli scongiuri, rituali, prediche, interpretazioni della smorfia con botte di fortuna, è un brivido che non risparmia nessuno.
Nel ‘700 c’erano taverne in cui si passava l’intera giornata a giocare a carte, spesso in compagnia della soldataglia e dei mercenari stranieri che furono chiamati da tutti i viceré di Napoli e furono apprezzati anche molto da Ferdinando IV di Borbone.

Le poche frasi ricorrenti durante la partita sono :
« Il banco vince! »
« Il banco perde! »
« Certo che questa è proprio jella nera! »
« Se entro domani non me li porti, ti mando Agonia! »

In questo luogo di scambi culturali, si diffuse la zecchinetta e la Sicilia, non ne è stata esente dalla passione per la scommessa.
Nel XVI secolo, così come oggi, non era possibile ricorrere a un tribunale per riscuotere i debiti di gioco. E così spesso ci si affidava a personaggi della criminalità o agli stessi soldati mercenari che frequentavano le taverne, che per l’occasione si prestavano volentieri alla riscossione dei crediti in cambio di un buon compenso, il termine “paranza“, ad esempio, è proprio figlio della tradizione militare, con la paranza che altro non era che una tecnica di combattimento con il bastone o coltello, detta anche bastone siciliano, con cui si risolvevano le controversie, se ci scappava il morto, era delitto d’onore causato dal vino e questo forniva delle forti attenuanti.

Affidarsi alla giustizia per recuperare un credito era cosa molto difficile, il trattamento e la gestione dei crediti con la probabilità da parte delle vittime di ottenere giustizia era ostacolata da fattori molto diversi, molti dei quali erano legati al carattere complesso e culturalmente orientato della notitia criminis attraverso cui il tribunale giungeva a conoscenza dei fatti, il dovere apprezzare l’ampia gamma di sfumature e di significati che i giudici dovevano cogliere e comprendere per stabilire la verità processuale. La soluzione il giudizio da emettere, non era una questione semplice, data la distanza culturale che separava la borghesia dalle classi popolari, il che  rendeva più complesso l’obiettivo di decifrare i motivi che potevano sottostare all’azione degli individui. Se poi si inserisce un terzo elemento, il gergo che è al tempo stesso inclusivo ed esclusivo, include e quindi aggrega chi ne condivide e conosce il codice, esclude, invece, quanti non appartengono alla categoria specifica dei gerganti, la giustizia era vaga, arbitraria e non c’era corresponsione tra il crimine ed il danno economico subito.

Le Regole della zecchinetta

La zecchinetta si gioca con un mazzo da 40 carte, quindi vanno bene sia le napoletane che quelle francesi (ridotte di numero).

Prima del gioco, il banco (ovvero il mazziere) comincia con una puntata in denaro e stabilisce limiti minimi e massimi della puntata. Mischia le carte e ne mette due (o una) al centro del tavolo, scoperte. Su questi numeri i giocatori faranno le proprie puntate.
Poi il banco prende per sé una terza carta e la mette scoperta alla sua sinistra.
Si procede in senso orario o antiorario, a seconda delle abitudini locali, e ogni giocatore punta la sua cifra. Si può puntare finché non viene raggiunta la cifra massima: nel caso in cui si raggiunga prima della conclusione del giro, i giocatori rimanenti sono esclusi.
Se un giocatore solo decide di sfidare il banco (e punta l’intera posta massima da solo), deve dire “banco!” ed esclude tutti gli altri.
Una volta ottenuta la somma delle puntate, il banco pesca una quarta carta. La mette alla sua destra.
-Se la carta è uguale ad uno dei numeri sui quali i giocatori hanno fatto le proprie puntate, allora il banchiere vince in automatico tutte le puntate su quel numero.
-Se la carta è uguale al numero del banco, allora il banco dovrà pagare l’equivalente delle puntate e dovrà passare il proprio ruolo di banco al giocatore alla sua destra.
-Se la carta è diversa, si mette al centro e i giocatori potranno fare puntate anche sulla terza carta.
Si prosegue aggiungendo nuove carte su cui puntare finché non appare una carta che fa vincere il banco o i giocatori. Quando viene aggiunta una carta nuova, il banco suggerisce ai giocatori: “Chista è fresca, puntate qua“

Diventa facile capire come, davanti a un azzardo così alto, il popolo è particolarmente ingolosito e tentato dal gioco: era possibile vincere l’intera posta in una sola giocata, così come era piuttosto semplice perdere tutto e recuperarlo in pochi minuti. Un vero e proprio duello con le carte in cui, spesso, le persone giocavano interi stipendi da miseria, frutto del lavoro nella miniera di zolfo o  bottini di furti o addirittura le proprie mogli e le case. Il linguaggio nelle sale da gioco era particolarmente scurrile e violento, si passava dalle bestemmie ai fatti.

Sembrava anche esistesse una vera e propria forma di tacito accordo, tra i gestori delle bettole ed i frequentatori delle medesime; un accordo, facente parte di una ritualità sociale, dalle valenze simboliche, in base al quale le eventuali tensioni scoppiate all’interno del locale, dovevano comunque trovare soluzione al suo esterno; nel caso la situazione cominciasse a degenerare, il gestore si muoveva attivamente per impedire il verificarsi di conseguenze indesiderate, da parte delle autorità.

Gli anni scorro, si arriva alla moralizzazione dei costumi sociali: il gioco viene considerato un’attività immorale e socialmente dannosa, che fomenta la cupidigia del denaro, incentiva l’avversione al lavoro e al risparmio, deprime la dignità della persona e le impedisce di realizzare uno sviluppo armonico della propria personalità, è causa di tragedie individuali e familiari. In poche parole un’attività pericolosa sociale è pericolosa per il recupero dei crediti che inesorabilmente si realizzavano.
Abilità ed alea


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