Il codice penale, la mitologia del personaggio infame

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Il codice penale, la mitologia del personaggio infame

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Il codice penale, la mitologia del personaggio infame, essa ha origine storiche e non moderne

Il codice penale è sì espressione della volontà del sovrano, ma la volontà del sovrano ‘illuminato è condizionata a sua volta dai superiori principi del diritto naturale e conseguentemente i precetti penali non debbono essere pensati per un fruitore ‘cittadino’ ma bensì per i giuristi, veri ‘fruitori’ del codice.
Il codice era in realtà diretto sia ai cittadini che ai giudici, ma in particolar modo tenendo presente le esigenze dei giudici.
Rammentiamo che accanto alla giustizia del sovrano operava, poi, quella amministrata dai signori, laici ed ecclesiastici, i signori ecclesiastici nei loro benefici, tanto che essi risultano immuni dalla giurisdizione civile sia regia, sia signorile. e dalle città. Per quanto riguarda la giustizia signorile bisogna distinguere tra quella fondata sull’affermare il dritto connessa al dominio sulla terra, che i signori ricevevano per concessione del sovrano. Presso di lui si riuniva una corte di giustizia, composta da suoi fedeli e da suoi agenti, la quale nel caso di grandi signori, come quelli insigniti del titolo comitale e titolari di un vasto patrimonio, comprendeva anche vescovi, vassalli del re o dello stesso signore, cavalieri, giudici delle città presenti nel dominio.
Nel periodo pre-illuminista il concetto di bene giuridico risente della concezione del reato come “peccato”, ossia come trasgressione di una legge divina, ed i reati assumono una connotazione etica e religiosa in quanto non sono contro la società e l’individuo ma contro Dio.
È solo nell’età dei Lumi che il pensiero filosofico-politico teorizza una struttura dello Stato secolare e segna, sul piano ideale, l’ingesso del diritto penale nella dimensione della laicità. Si passa da una visione teologica del diritto penale, ad una visione umana e secolarizzata: la violazione della legge non è più un peccato contro Dio bensì reato contro la comunità, con la conseguente ‘materializzazione’ degli oggetti della tutela.
La componente ideologica è sempre stata presente nella storia del concetto del bene giuridico. Esso si è dovuto adattare a situazioni culturali, politiche molto diverse tra loro.
Quindi diritto penale quale strumento di protezione dei beni giuridici.
Essa supera la valutazione di un sistema dei delitti e delle pene ancorato alla realizzazione di un ideale di giustizia ultraterreno, perseguendo un obiettivo pratico e socialmente utile di tutela di quei beni atti a garantire una pacifica convivenza tra i consociati nei limiti della stretta necessità, e circoscrivendo l’intervento della sanzione punitiva ai soli casi in cui essa pare irrinunciabile, soprattutto quando briganti e prepotenti non mancavano, vero assillo dei regnanti.

Il codice penale del 1791 è il primo corpo normativo francese in materia penale. L’ancien droit, con il ‘flétrissure’(marchio di infamia), la frusta e la confisca, cedono il posto ad un nuovo diritto che si preoccupa della funzione di prevenzione generale positiva della pena, dell’indurre la collettività al bene, come emerge dalla frequenza di punizioni esemplari, arricchite dal pathos della teatralità dell’esecuzione pubblica.
La privazione della libertà personale, nelle forme della morte, della galera, della reclusione in un carcere duro, della detenzione, della deportazione e della gogna, assolve alla funzione pedagogica della sanzione penale, esso prevede, per ogni reato, una sola pena ‘edittale’, senza possibilità, per il giudice di spaziare, nel caso concreto, tenuto conto delle singole circostanze, tra un minimo e un massimo della pena.
Il concetto di infamia riguarda i caratteri della pubblicitas e della fama del bandito e delle sue azioni.
L'infamia serve ad etichettare di fatto, una perduta dignità ed onorabilità sociale.
Fama e infamia sono fra i problemi centrali della società non solo medievale. La buona o la cattiva fama influiscono in modo determinante sulla capacità giuridica, sulla vita quotidiana, sugli aspetti politici ed economici; servono a imprimere a ciascuno un marchio, sono segni del modo di pensare e giudicare della comunità.
La fama contribuisce alla stabilità e alla coesione sociale. Essa non è un termine giuridico, ma gli interpreti medievali hanno utilizzato tale concetto come indicatore di comportamento per rappresentare la reputazione di cui ciascuno gode nell'opinione degli altri.
Nell'età medievale «finché ognuno teneva volentieri il proprio posto, nessuno si sentiva particolarmente colpito dalla singolarità degli altri»
Sull'infame ricadono una serie rilevante di incapacità: perde la dignità, non può rivestire incarichi onorifici, non può più prestare valida testimonianza, perde il diritto di fare testamento.
«L'infamia è causa d'estinzione della nobiltà». Essa per certi «ceti sociali equivale a una pena di morte, come per gli esclusi e i diseredati; per chi, invece, appartiene a ceti importanti, l'infamia diventa una sanzione vera e propria con conseguenze disastrose, perché li priva di importanti diritti civili»
Si potrebbe dire che l'eventualità di perdere la fama è per un individuo, capace e possessore di diritti, l'equivalente di un imminente pericolo di morte. L'infamia, però, non è così dannosa per chi non ha nulla da perdere. «La fama non è una virtù morale è un bene prezioso da curare.
L'infamia costituiva una sorta di macchia più o meno indelebile, che connotava un individuo e i suoi atti all'interno della comunità, nonché il comportamento degli altri nei suoi riguardi.
La publicità dell'azione delittuosa serviva come serve a tendere conoscibile la figura del latrone e ad imprimere un'immagine duratura, nelle persone.



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