La filastrocca siciliana dei Morti, la Commemorazione dei Defunti in Sicilia
Pubblicato in Cultura e Società · 16 Settembre 2023
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La filastrocca siciliana dei Morti, la Commemorazione dei Defunti in Sicilia
Nella notte tra 1 e 2 novembre, le persone care che non ci sono più portano doni ai bimbi, per premiarli dei loro buoni comportamenti.
Si tratta di un modo per mantenere vivo il legame con coloro che ci hanno lasciato.
La giornata del 2 novembre assume un significato molto profondo in Sicilia. Si tratta di una delle ricorrenze più amate, legate alla tradizione e al ricordo delle persone care che ci hanno lasciato. La commemorazione dei defunti è un momento di ricordi e riflessione, di celebrazione ma anche di raccoglimento. I più piccoli, al risveglio, trovano i doni lasciati dalle persone care che non ci sono più: dolci e giocattoli, che mantengono saldo il legame con gli affetti che li hanno lasciati. In questo modo, si rende il concetto di morte meno spaventoso. Alla festività sono collegate non soltanto alcune ricette tipiche, come biscotti e pietanze salate.
La filastrocca
“Armi santi, armi santi (Anime sante, anime sante)
Io sugnu unu e vuatri siti tanti: (Io sono uno e Voi siete tante)
Mentri sugnu ‘ntra stu munnu di guai (Mentre sono in questo mondo di guai)
Cosi di morti mittitiminni assai” (Regali dei morti mettetemene molti).
U pupu cu l’anchi torti: la filastrocca della Festa dei Morti
Talè chi mi misiru i Morti, ‘u pupu cu l’anchi torti.
Un tempo i bambini recitavano queste parole nel giorno della Commemorazione dei Defunti.
Scopriamo, una serie di usanze di consuetudini che ancora si rinnovano e continuano a mantenere più vivo che mai il legame con i nostri cari che non ci sono più.
Arriva ‘U pupu cu l’anchi torti
“Talè chi mi misiru i Morti, ‘u pupu cu l’anchi torti, a atta ch’abballava, u surci chi sunava. Passa la zita cu ‘a vesta di sita, passa u baruni cui cavusi a pinnuluni”.
Queste le parole la mattina del 2 novembre. Nella notte, i morti avevano portato regali e dolci e i bimbi non vedevano l’ora di scoprire i loro doni. Recitare la tiritera, era per uno scaramantico rispetto della tradizione.
Un po’ di storia…
La Festa dei Morti ha origine dall’incontro tra due tradizioni, una molto antica di natura pagana e un’altra di origine cristiana.
In particolare, prima di diventare festa di precetto per la Chiesa di Roma, la commemorazione di Ognissanti veniva già festeggiata in Inghilterra tra i celti; nel giorno di questa antica festa, conosciuta con il nome di Samhain (tutte le anime), si raccontava che, poiché fosse la notte più lunga dell’anno, il principe delle tenebre aveva il tempo di chiamare a raccolta tutti gli spiriti per permettere loro di passare dal mondo dei morti a quello dei vivi e ritornare così nei luoghi che abitavano quando erano in vita.
La scelta della Chiesa di festeggiare il giorno di Ognissanti il 1° Novembre, spostando la ricorrenza dal 13 maggio, secondo alcune interpretazioni e così come ipotizzato dall’antropologo Frazer, avrebbe come motivazione la volontà di creare una continuità tra la commemorazione cristiana e l’antica festa celtica; Secondo altre interpretazioni, invece, sarebbe stato proprio l’intento di far dimenticare i riti pagani a vantaggio di quelli cristiani la ragione di questo spostamento voluto da Papa Gregorio IV e sostenuto da tutti i vescovi.
Nel X sec. alla commemorazione di Ognissanti si affiancò la festa dei morti tradizionalmente celebrata il 2 Novembre.
Un'altra tradizione
La scelta della data del due novembre pare essere legata alla nostra Isola e risale all’anno 928 D.C. Nel convento di Cluny viveva l’abate Odilone, il quale era molto devoto alle anime del Purgatorio. Si dice che uno dei suoi confratelli, di ritorno dalla Terra Santa, gli raccontò di essere stato scaraventato da una tempesta sulla costa della Sicilia. Lì incontrò un eremita, il quale gli raccontò che spesso aveva udito le grida e le voci dolenti delle anime purganti provenienti da una grotta insieme a quelle dei demoni che gridavano proprio contro l’abate Odilone.
All’udire queste parole, Odilone ordinò a tutti i monaci del suo Ordine cluniacense di fissare il 2 Novembre come giorno solenne per la commemorazione dei defunti. Da allora, dunque, la festa dei morti viene celebrata in questo giorno.
Iganzio Buttitta in I morti e il grano
Si potrebbe anche dire che il culto dei morti in Sicilia è, tradizionalmente, legato al lavoro della terra. Iganzio Buttitta in «I morti e il grano. Tempi del lavoro e ritmi della festa» scrive infatti che il contadino arcaico crede fermamente nella relazione tra morti e vivi, tra sottosuolo e spazio del lavoro contadino. Esiste una dipendenza inscindibile del raccolto dalle forze della terra. Diversi modi di dire come «Si nun vennu li morti, nun caminanu li vivi» sostengono proprio l’idea che i vivi hanno bisogno dei morti per difendere ciò che è stato seminato e proteggere i raccolti.
Il calendario rituale, in generale, in Sicilia non è legato direttamente al ciclo naturale, ma mediato dal ritmo delle attività lavorative dell’uomo. Non a caso in esso s’individuano non già quattro stagioni, ma tre fasi principali segnate da tre momenti di passaggio: ottobre – novembre (periodo della semina), marzo – aprile (la completa germinazione della pianta), giugno (la mietitura).
Lo scopo e il proposito di questi riti consistono nello stabilire e mantenere il controllo sul corretto svolgersi dei cicli naturali e produttivi, garantire la stabilità del giusto ordine nel mondo circostante. Così per esempio, i riti del periodo autunnale-invernale rivelano specialmente il loro carattere ctonio, associato alla presenza dei morti (rappresentati in particolare dalle maschere, dai poveri o dai bambini). Contrariamente all’opinione diffusa della graduale scomparsa dei culti e festività agrarie nel mondo moderno, Buttitta segnala che essi (in gran parte di origine anteriore all’epoca cristiana e legati alla venerazione dei defunti antenati-protettori) si sono conservati in Sicilia molto meglio di quanto si usi pensare.
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