Palazzo Steri a Palermo e Monreale, tra i tribunali della santa inquisizione in Sicilia

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Palazzo Steri a Palermo e Monreale, tra i tribunali della santa inquisizione in Sicilia

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Palazzo Steri a Palermo e Monreale, tra i tribunali della santa inquisizione in Sicilia

L'inquisizione in Sicilia fu formalmente introdotta prima del 1478 dal Re Ferdinando II di Aragona.
Palazzo Steri sede palermitana dell'Inquisizione Siciliana, attualmente sede del rettorato dell'Università degli Studi di Palermo
L'istituzione del Tribunale dell'Inquisizione in Sicilia dal XV fino a quasi tutto il XVII secolo faceva parte dell'Impero spagnolo sotto forma di Vice-Regno, al pari di Napoli e della Sardegna. Dopo un tentativo fallito di estendere dalla Spagna alla Sicilia il Tribunale dell'Inquisizione nel 1481, Il 6 ottobre 1487 Ferdinando II il Cattolico creò il Tribunale dell'Inquisizione e fu inviato in Sicilia il primo inquisitore delegato, Frate Agostino La Pena, la cui nomina fu approvata da Papa Innocenzo VIII.
In Sicilia operavano già gli inquisitori apostolici dell'Inquisizione della Santa Sede anche se con modalità meno rigorose rispetto a quelle dell'Inquisizione Spagnola. L'inquisizione siciliana dipendeva direttamente da quella spagnola e operava in assoluta autonomia dalla Santa Sede romana.
L'inquisizione in Sicilia fu gestita da inquisitori arrivati direttamente dalla Spagna. Il loro potere, di fatto, era superiore a quello dei viceré stessi. Assieme al sovvertimento della struttura istituzionale, i siciliani videro in qualche modo controllate le attività mercantili, finanziarie e commerciali attraverso la censura delle loro vite attuabile dal Tribunale ecclesiastico, l'Inquisizione si rese subito invisa al popolo siciliano ancor prima che le attività persecutorie avessero materialmente luogo.
L’introduzione del tribunale spagnolo provocava fin dalla sua istituzione le resistenze del Parlamento di Sicilia il quale, in quanto garante dei privilegi del Regno, si oppose all’esercizio dell’attività giudiziaria di ministri e ufficiali spagnoli. Secondo le leggi del regno, infatti, i siciliani non potevano essere giudicati da giudici stranieri. Tuttavia, l’Inquisizione riesce a radicarsi a fondo nel tessuto sociale e giuridico siciliano grazie alla strutturazione della familiatura che inizia ad attrarre tra le sue fila gli esponenti della nobiltà parlamentare.
I commissari del sant'Uffizio e coloro che vi si affiliavano come famigliari erano inoltre dispensati dalle leggi restrittive sul porto d'armi e godevano di immunità dalla giustizia regia.
Da Vittorio Amedeo II di Savoia a Carlo VI d’Austria, con la pace di Utrecht, la Sicilia cessa di essere dominio spagnolo e viene assegnata a Vittorio Amedeo II di Savoia, ma il cambiamento politico non influenza l’attività del tribunale che, per via di un accordo diplomatico tra Vittorio Amedeo e Filippo V di Spagna, continua a operare sotto le direttive del Consiglio della Suprema di Madrid. Nel 1720 i Savoia cedono la Sicilia a Carlo VI, imperatore d’Austria, il quale, al contrario, decide di rompere il legame del tribunale siciliano con Madrid, affidandone la direzione a un Inquisitore generale a Vienna.
Nel 1734 la Sicilia si ritrova unita al regno di Napoli sotto la guida di Carlo Borbone, figlio del re di Spagna e capostipite della nuova dinastia Borbone. L’Inquisizione di Sicilia cessa pertanto di essere austriaca, ma non ritorna ad essere spagnola. Gli inquisitori in carica, Antonino Franchina e Juan Francisco Iniguez Abarca, continuano a operare senza dipendere da Madrid, né da Vienna.
Con decreto regio del 6 marzo 1782, dopo oltre 500 anni dall'introduzione, Ferdinando III di Sicilia, disponeva l'abolizione dell'Inquisizione nell'isola.
Nella sede di Palermo, il viceré Caracciolo, nel 1783, dopo aver soppresso il Sant’Officio con regio decreto del 16 marzo 1782, decise di dare alle fiamme l’intero archivio, l’archivio del tribunale venne dato alle fiamme: l’archivio comprendeva documenti relativi all’Inquisizione, agli inquisiti, agli inquisitori e ai “familiari” dell’Inquisizione, le carte dei processi per eresia, le visite del distretto effettuate dagli inquisitori, la corrispondenza degli inquisitori di Sicilia con il Consiglio della Suprema e Generale Inquisizione in Spagna.

Le prigioni di palazzo Steri a Palermo

Nelle prigioni del Palazzo Chiaramonte-Steri a Palermo, dove per quasi tre secoli gli inquisitori interrogarono, torturarono e uccisero uomini e donne, tra ebrei o semplici sospetti di comportamenti giudaizzanti, frati, suore, innovatori, libertari, nemici dell'ortodossia politica e semplici poveracci, rimangono preziosi graffiti dei carcerati, testimonianza unica delle sofferenze patite.
Monreale, la cui urbanizzazione comincia nel Duecento attorno al medievale duomo (1176), fatto erigere dal re Guglielmo II d'Altavilla, ultimo re normanno di Sicilia, è stata sede inquisitoria di primo piano, riguardante tutto quanto l'esteso territorio che afferiva a questo antico Stato feudale retto dal suo Arcivescovo-Abate.
Il concilio di Narbonne del 1243 definì le penitenze: «Agli eretici, ai loro partigiani e ai loro sostenitori che si sottometteranno volontariamente, mostreranno di pentirsi, diranno su se stessi e sugli altri la verità intera, verrà risparmiata la prigione. Dovranno portare delle croci (cucite sui loro abiti), presentarsi tutte le domeniche, tra l’epistola e il vangelo, davanti al prete con una verga e ricevere la disciplina.
Se invece l’imputato non confessava spontaneamente i suoi reati, si cercava di farlo confessare con vari metodi. L’inquisitore Davide d’Augusta indica i quattro sistemi principali impiegati: «l) Il timore della morte: si faceva intravvedere all’imputato la condanna suprema e il rogo; al contrario, se consentiva a parlare, riceveva la promessa che tale supplizio gli sarebbe stato risparmiato. 2) Il carcere più o meno duro, aggravato dal cibo scarso; la minaccia che alcuni testimoni avrebbero deposto contro di lui e allora non avrebbe potuto più salvarsi; l’allontanamento da ogni complice capace di incoraggiarlo nel suo diniego. 3) La visita di due persone sicure, giudicate capaci di indurlo con parole adatte a confessare. 4) La tortura».
Al termine del processo l’inquisitore e i suoi assessori pronunciavano la sentenza. Lo facevano generalmente con grande solennità, in un’assemblea pubblica convocata all’uopo e chiamata Sermo generalis.

La struttura dell’inquisizione

La struttura del tribunale segue il modello delle Instrucciones emesse dall’Inquisitore generale.
Al vertice dell’organigramma inquisitoriale si collocano l’inquisitore, l’alguacil e il receptor. Le tre figure sono a capo dei tre settori fondamentali del tribunale distrettuale e, infatti, godono dello stesso salario: l’inquisitore è a capo dell’attività giudiziaria; l’alguacil è a capo della “polizia” del Santo Ufficio e ha il compito di catturare gli eretici, perquisirli e consegnarli al carcelero, il custode delle carceri; il receptor è a capo dell’attività amministrativa e finanziaria, si occupa dei beni sequestrati e dell’erogazione dei salari all’intero personale e, inoltre, può svolgere le funzioni di juez de los bienes confiscados nelle cause civili che riguardano i beni dei detenuti. Nella gerarchia inquisitoriale seguono il promotor fiscal che si occupa del capo d’accusa e dell’avvio del processo e un secondo fiscale, o abogado, incaricato della difesa del reo. Nella prassi, però, la loro capacità d’azione all’interno della procedura è molto limitata poichè non possono presenziare agli interrogatori e non possono condurre un colloquio privato con il detenuto.

I familiares della santa inquisizione

I familiares non sono ufficiali dell’Inquisizione, ma collaboratori esterni, confidenti, informatori, affiliati. Ne fanno parte uomini, donne, laici, ecclesiastici, priori, badesse, medici, speziali, rappresentanti di arti e mestieri. I loro compiti sono molteplici: svolgono servizi di informazione, di polizia segreta, di vigilanza e controllo del territorio. In cambio, il tribunale offre loro protezione giuridica e una serie di benefici e privilegi: indulgenze, un foro speciale, favori per le nomine pubbliche e politiche.

“.. insieme a tutte le denunzie, i processi, i libri, le scritture dell'archivio propriamente inquisitoriale, cioè delle cosiddette cause di fede. La distruzione dell'archivio, attesta un aristocratico cronista, incontrò il comune applauso, stante ché se tali memorie, che Dio liberi, fosser per avventura venute fuori, sarebbe stato lo stesso che macchiare di nere note molte e molte famiglie di Palermo e del regno tutto, cosi del rango de' nobili, che delle oneste e civili. E pare evidente che il cronista si preoccupasse più per i nomi dei denunzianti, che potevano venir fuori da quelle carte, che per quelli degli inquisiti: poiché il santo tribunale doveva aver avuto una così vasta rete di spie (tra i nobili, tra i civili, tra gli onesti) da fare impallidire al confronto quella dell'Ovra.”
L’inquisizione ha portato alla cancellazione del pluralismo, ha imposto il conformismo, ma non ha introdotto un modo nuovo di sentire la cristianità.

E' un tema, quello dell'inquisizione, che ha molto interessato Sciascia, "Morte dell’inquisitore"

Pensa beni a la morti.
Al mondo non c'è niente rimedio.
Averti chi ccà dunanu tratti di corda e...
Sta in cervellu chi ccà dunanu la corda...
Vi avertu chi ccà prima dunanu la corda...
Fu cuntu chi vinisti ora.
Innocens noli te culpare; Si culpasti, noli te excusare; Verum detege, et in D.no Confide.
Fari asino. Mors, ubi est victoria tua?

Innocente non accusarti; se ti accusi, non giustificarti; rivela la verità, e non confidare nel Signore.(Graffito scoperto da Giuseppe Pitré in una delle celle di Palazzo Chiaramonte-Steri, sede dell'Inquisizione di Palermo, e riportato nell'incipit dell'opera)



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