Portella della ginestra e la land art, il Paese di Piana degli albanesi, la strage del 1947

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Portella della ginestra e la land art, il Paese di Piana degli albanesi, la strage del 1947

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Pubblicato in Storia e sicilitudine · Mercoledì 02 Ago 2023
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Portella della ginestra e la land art, il Paese di Piana degli albanesi, la strage del 1947

Piana degli Albanesi è la più grande comunità albanofona in Sicilia ed una delle più grandi in Italia. Vi ha sede l'Eparchia di rito bizantino cui si riferiscono tutti i fedeli del rito che risiedono in Sicilia e nell'Italia insulare.

Oggi presso il Memoriale di Portella della Ginestra, troviamo una originale sistemazione naturale-monumentale del luogo, situato nella contrada omonima di Piana degli Albanesi.
La sistemazione monumentale di Portella della Ginestra è un'opera di land art di cui vi sono altri svariati esempi nel mondo. Il Memoriale è stato progettato e realizzato tra il 1979 e il 1980 da Ettore de Conciliis, pittore e scultore, con la collaborazione del pittore Rocco Falciano e dell'architetto Giorgio Stockel.
Un muro a secco fiancheggiato da una tipica trazzera, per una lunghezza di circa 40 metri, taglia la terra, come una ferita, nella direzione degli spari. Tutt'intorno, per un'area di circa un chilometro quadrato, luogo dell'eccidio del 1º maggio 1947, si innalzano grandi massi in pietra locale, alti da 2 a 6 metri, cavati sul posto della pietraia. Uno di essi è il masso di Nicola Barbato, da dove il dirigente arbëresh dei Fasci Siciliani dei Lavoratori era solito parlare alla sua gente. Altri figurano sinteticamente corpi, facce e forme di animali caduti. In altri due sono rispettivamente incisi i nomi dei caduti e una poesia.
Il Comune di Piana degli Albanesi prevede nel sito anche un altro grande masso, sempre in pietra locale, con incisa una poesia in lingua albanese:
Tradotta: Alla bocca delle ginestre, sul campo rosso, cadde l'aquila che attaccò gli stranieri i turchi. I lavoratori vennero sulla montagna per una festa e li uccisero, i contadini sulla roccia per vivere e li videro. Il primo maggio anche le pietre bevvero sangue. I ragazzi caddero e i vecchi in primo luogo nella Portella della Ginestra piena di morti!

La strage di Portella della Ginestra fu un eccidio commesso il 1º maggio 1947 in località Portella della Ginestra, nel comune di Piana degli Albanesi in provincia di Palermo, da parte della banda di Salvatore Giuliano che sparò contro la folla di contadini riuniti per celebrare la festa dei lavoratori, provocando undici morti e numerosi feriti.

Le motivazioni della strage, che dette inizio in Italia alla crisi del maggio 1947 e che nei giorni successivi fu seguita da assalti a sedi dei partiti di sinistra e delle camere del lavoro della zona, risiedono, oltre che nella dichiarata avversione del bandito nei confronti dei comunisti, anche nella volontà dei poteri mafiosi e delle forze reazionarie di mantenere i vecchi equilibri nel nuovo quadro politico e istituzionale nato dopo la seconda guerra mondiale, gli ambienti politici siciliani interessati a intimidire le masse contadine che reclamavano la terra.

Sull'esempio del fascio operaio nato nell'Italia centro-settentrionale, il movimento fu un tentativo di riscatto delle classi meno abbienti, che protestavano sia contro la proprietà terriera siciliana, sia contro lo Stato che appoggiava apertamente la classe benestante. La società in Sicilia era all'epoca, molto arretrata, il feudalesimo, sebbene abolito dagli stessi aristocratici illuminati, agli inizi del XIX secolo, aveva condizionato la distribuzione delle terre e quindi delle ricchezze. L'unità d'Italia, con Garibaldi, non aveva portato i benefici sociali sperati e il malcontento covava fra i ceti più umili. Il movimento chiedeva fondamentalmente delle riforme nell'ambito agrario, che permettesse una revisione dei patti agrari e la redistribuzione delle terre. Una grande forza rivoluzionaria si ebbe anche fra le minoranze presenti nell'isola fiduciosi in un possibile cambiamento.

I fasci siciliani, detti anche fasci siciliani dei lavoratori, movimento di massa di ispirazione libertaria, democratica e socialista spontaneista, sviluppatosi in Sicilia dal 1889 al 1894 e diffusosi fra proletariato urbano, braccianti agricoli, minatori e operai. Fu disperso solo dopo un duro intervento militare durante il governo Crispi, avallato dal re Umberto I. La società siciliana era sconvolta, il movimento dettava le sue condizioni alla proprietà terriera per il rinnovo dei contratti. In questo contesto si dimise il Governo Giolitti I al quale seguì quello presieduto dal siciliano Francesco Crispi, il quale decise di reprimere il movimento avallando l’intervento militare tra il dicembre 1893 e il gennaio 1894 comprendente esecuzioni sommarie e arresti di massa. Crispi figura di spicco del Risorgimento, fu uno degli organizzatori della Rivoluzione siciliana del 1848 e fu l'ideatore e il massimo sostenitore della spedizione dei Mille, alla quale partecipò. Inizialmente mazziniano, si convertì agli ideali monarchici.

Nonostante non siano mai stati individuati i mandanti, della strage di Portella, sono certe le responsabilità degli ambienti politici siciliani, interessati a intimidire la popolazione contadina che reclamava la terra e aveva votato per il Blocco del Popolo nelle elezioni del 1947.
Così come la mafia aveva giurato vendetta al Fascismo che, con il prefetto Cesare Mori, l’aveva duramente colpita, così, nell'immediato dopoguerra, reagì in sodalizio con massoneria, latifondisti e indipendentisti alle istanze di rinnovamento dei nuovi soggetti politici per garantire il mantenimento dello status quo, sfruttando la fama del bandito Giuliano che si ritrovò a essere solo una pedina all'interno di una macchinazione molto più complessa di quello che poteva immaginare.

Nel 1948 Salvatore Giuliano scrisse una lettera all'Unità, in cui affermava lo scopo politico della strage e facendo una serie di allusioni sui rapporti da lui intrattenuti con noti esponenti politici, tra cui Mario Scelba. Il 5 luglio 1950 Giuliano venne ritrovato morto nel cortile della casa di un avvocato di Castelvetrano: un comunicato del Ministero dell'Interno annunciò ufficialmente che era stato ucciso in un conflitto a fuoco avvenuto la notte precedente con un reparto dei carabinieri alle dipendenze del capitano Antonino Perenze.
Le perplessità della versione ufficiale emersero in un articolo del giornalista de L'Europeo Tommaso Besozzi, intitolato "Di sicuro c'è solo che è morto", nella quale mise in luce le incongruenze della versione data dai carabinieri sulla morte del bandito e indicò come assassino di Salvatore Giuliano il suo luogotenente Gaspare Pisciotta, il quale poco prima della morte di Giuliano era segretamente diventato un informatore del colonnello Luca.
Al processo per il massacro di Portella della Ginestra tenutosi a Viterbo, Pisciotta si autoaccusò dell'omicidio di Giuliano e accusò anche i deputati Bernardo Mattarella, Gianfranco Alliata, Tommaso Leone Marchesano e Mario Scelba di essere i mandanti politici della strage, dichiarando: “Servimmo con lealtà e disinteresse i separatisti, i monarchici, i democristiani e tutti gli appartenenti a tali partiti che sono a Roma con alte cariche, mentre noi siamo stati scaricati in carcere. Banditi, mafiosi e carabinieri eravamo la stessa cosa”.
Il 9 febbraio 1954 Pisciotta fu avvelenato, prima che potesse rendere la sua testimonianza sulla strage di Portella della Ginestra.



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