Siamo nel 1800 in Sicilia nasce quella organizzazione che viene definita Mafia

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Siamo nel 1800 in Sicilia nasce quella organizzazione che viene definita Mafia

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Pubblicato in Storia e sicilitudine · Martedì 12 Set 2023

Siamo nel 1800 in Sicilia nasce quella organizzazione che viene definita Mafia

Il rapporto del prefetto di Palermo Filippo Gualterio del 1865, il primo documento ufficiale in cui si usa il termine «mafia» per definire un’«associazione malandrinesca», indica il generale Corrao, vecchio cospiratore e braccio destro di Rosalino Pilo morto due anni prima, come un elemento di collegamento con la mafia stessa. Violenza rivoluzionaria, opposizione politica, società segrete, delinquenza comune, briganti e protettori: questi i concetti con i quali la prima definizione di ‘mafia’ è stata ‘cucita’ addosso alla Sicilia, e che hanno altresì giustificato la dura repressione lì attuata con i regimi speciali di pubblica sicurezza nei primissimi anni unitari.

Il fattore scatenante che fa nascere la mafia non è il malcontento che nasce tra i braccianti e i contadini soprattutto a seguito dell’Unità d' Italia, causato dall’improvviso peggioramento della loro condizione economica. L'arrivo di Garibaldi, aumenta il malcontento della popolazione del sud italia cui si aggiunge inoltre una propaganda negativa da parte della Chiesa che vede questa Unità come una minaccia alla propria fede cattolica a causa della questione romana,( non a caso Roma viene annessa solo nel 1870) ed il basso clero, che era a contatto diretto con la popolazione, rafforza questa idea.
Le mafie e la massoneria speculativa, che non solo altro che meri strumenti in mano a chi ha davvero orchestrato l’Italia unita, prendono il potere.

La peculiarità di questo fenomeno è quindi proprio la sua connotazione politica, caratteristica che lo distingue dal mero banditismo, il brigantaggio post unitario in questa regione era infatti l’assenza del connotato politico

Dalla fine degli anni ’70 dell’Ottocento, col termine mafia gli osservatori si riferivano a un tipo di criminalità diversa da quella comune e brigantesca; organizzata in «cosche» i cui «membri vestivano normalmente panni civili, rimanevano insediati nella normalità della vita quotidiana,
Le cosche mafiose si svilupparono proprio in questo ambiente perché le loro attività specifiche erano quelle di lucro legate all’economia agrumicola e all'intermediazione, che tendevano ad assumere e a controllare in maniera monopolistica su un determinato territorio: l’affitto a gabella e la guardiania dei giardini, l’erogazione dell’acqua, l’intermediazione commerciale tra i proprietari dei giardini e gli speculanti e la prima custodia del prodotto.
Tuttavia, in «quello che potremmo considerare l’atto di nascita della mafia, all’inizio degli anni settanta dell’Ottocento», si mostrò in tutta la sua ambiguità il collegamento di queste organizzazioni con i poteri pubblici, quando il questore di Palermo Albanese non esitò a servirsi e a proteggere gruppi di delinquenti per riuscire nel suo intento di disperdere gruppi politici criminali avversi per riconquistare favori al governo.
Con la «rivoluzione parlamentare» e l’avvento al governo, una Sinistra, che tanto duramente aveva attaccato i provvedimenti speciali di pubblica sicurezza attuati dalla Destra per la repressione dei moti rivoluzionari del ‘66, e ancora indignata per l’emanazione delle leggi speciali per la sicurezza pubblica in Sicilia del 1875, era fortemente persuasa a dimostrare alla nazione intera di essere in grado di garantire l’ordine pubblico senza ricorrere alla dura repressione, bensì appoggiandosi al gruppo dirigente locale.

L’azione del prefetto Malusardi, inviato a Palermo con l’incarico di debellare il banditismo, costrinse quei gruppi criminali che erano sopravvissuti al questore Albanese, e che si erano organizzati con successo, a stringere un «compromesso con le classi dominanti» per sopravvivere: rinunciare a quelle attività molto remunerative che minavano l’ordine sociale, come il sequestro di persona, e collaborare nell’arresto dei banditi latitanti. Solo ora – evidenzia Salvatore Lupo – possiamo chiamare davvero di mafia» queste organizzazioni.

Le organizzazioni criminali che si distaccavano dalla delinquenza comune perché si ponevano in un rapporto ambiguo con le autorità pubbliche e con le classi dirigenti locali.

Leonardo Sciascia (scrittore, giornalista e politico) la descrive come “un’associazione per delinquere, coi fini di illecito arricchimento per i propri associati, che si impone come intermediazione parassitaria, e imposta con mezzi di violenza, tra la proprietà e il lavoro, tra la produzione e il consumo, tra il cittadino e lo Stato”.

Con la caduta di Mussolini, il fenomeno della mafia tornò alla ribalta e gli uomini d’onore passarono dalle carceri alle cariche pubbliche.
La mafia si insediò pian piano anche nelle istituzioni, soprattutto nel secondo dopoguerra: le opportunità della ricostruzione e il boom economico erano infatti pretesti e occasioni per intessere relazioni, chiedere e fare favori, sviluppare nuove attività.


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