I luoghi dei Florio

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I luoghi dei Florio

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Pubblicato in Cultura e Società · Sabato 10 Apr 2021
Tags: FlorioleonefamigliapotereabitazionisagailuoghideiFlorioSicilia

I luoghi dei Florio

I luoghi dei Florio, la grande famiglia di commercianti, armatori e mecenati che per più di un secolo dominarono la scena imprenditoriale palermitana e italiana, che resero grande e fecero conoscere l’isola al resto del mondo.

I Florio iniziarono da una piccola bottega di spezie al Borgo Vecchio di Palermo, erano di origine calabresi di Bagnara, giunti in Sicilia in cerca di fortuna e trasformarono una modesta aromateria in un’avviata e remunerativa attività commerciale.
Nasce la leggenda dei Florio il cui simbolo è il leo bibens, il leone febbricitante che beve l’acqua che scorre accanto le radici degli alberi di china in bella mostra sull’insegna della bottega di via dei Materassai.
Il perché è presto detto, un bene prezioso e ricercato era quello del cortice, la polvere della corteccia triturata dell’albero di china, al tempo un potente e diffuso antipiretico che i Florio vendevano, contestati dai farmacisti locali, furono anche invidiati per la rapida ascesa ed in futuro per i solidi rapporti con alcuni commercianti inglesi.

Benjamin Ingham fu con lui che il giovane Vincenzo compresa la portata della rivoluzione industriale in Gran Bretagna, e fece portare a Palermo la prima macchina per trasformare la corteccia dell’albero di china in una polvere finissima. Mercante inglese giunto in Sicilia nel 1806 vi rimase fino alla morte, avvenuta nel 1861. Grazie alle sue eccezionali capacità imprenditoriali Benjamin Ingham fondò un vero impero economico in Sicilia e in America, stimolando con il suo esempio i Florio.

I Florio non sono più bottegai, dopo quaranta anni dall’arrivo in Sicilia, commissionano all’architetto padovano Carlo Giachery la riconfigurazione a residenza di larga parte dell’antica . Nasce così la Palazzina dei Quattro Pizzi, con le inconfondibili torrette angolari cuspidate ai quattro lati, protetta alle spalle dal monte Pellegrino, residenza di rappresentanza edificata su un’antica tonnara in attivo sino al 1912 e sede negli anni di un mulino a vento per la molitura da cui si estraeva il ricercato tannino.
Quando, quasi un secolo dopo, l’impero dei Florio cadde, la palazzina dei Quattro Pizzi si salvò dallo sfacelo grazie a Donna Lucie Henry, seconda moglie di Vincenzo Junior. La vendita dei suoi diamanti leggendari passò alla storia come atto d’amore per il marito con il quale si trasferì all’Arenella.
Ancora oggi la vecchia tonnara ospita la residenza degli eredi che, con passione, continuano a custodire e far conoscere attraverso la fondazione Casa Florio.
All’Arenella fate caso ai quattro pizzi, le quattro cuspidi che hanno dato il nome al villino. Una fu danneggiata nel terremoto del 1968 e ricreata dall’artista Domenico Pellegrino.

Villino Florio

Villino Florio, in viale Regina Margherita a Palermo, una splendida villa Art Nouveau ideata dall’architetto Ernesto Basile tra il 1899 e il 1902 e commissionata da Ignazio Florio Junior per il giovane fratello Vincenzino.
Un tripudio di vetrate policrome, saloni, torrette, merlature e capitelli che hanno ospitato feste e grandiosi ricevimenti, tutto il bel mondo e l’aristocrazia siciliana e internazionale della Belle Époque.
Tre livelli, tre distinti piani, rispettivamente dedicati allo svago, all’accoglienza e ultimo, il più alto, utilizzato come area privata, massima espressione dello stile Liberty in Italia, con motivi floreali ovunque: fiori e foglie, nelle strutture in ferro battuto all’esterno e in terrazza, nelle decorazioni lignee presenti sui tre livelli.
Villino Florio è solo una parte della grande proprietà immobiliare.
Nella seconda metà dell’Ottocento, i Florio decisero di acquistare all’Olivuzza un’enorme tenuta di cui, il Villino ne è solo una porzione ma anche espressione del periodo del loro splendore.
Nel 1962 un incendio di natura dolosa lo ha gravemente danneggiato e l’odierno aspetto è il risultato di un’attenta opera di ristrutturazione della Regione Siciliana. Oggi il Villino Florio è visitabile e del tutto gratuito.
Definiti i regnanti senza corona, i Florio ad inizio Novecento sono una famiglia celebre in tutta Europa, potente, ricchissima.

La prima residenza di rappresentanza nasce proprio all’interno di una tonnara. In pochi anni Vincenzo trasformò l’intuizione iniziale dello zio calabrese Ignazio in un vero e proprio business. I Florio riuscirono in poco tempo a gestire tutte le tonnare della zona tra cui quella di San Nicolò l’Arena, Vergine Maria, Isola delle Femmine.

Tonnara di Scopello

La, per capire quanto il nome dei Florio sia legato alle tonnare in Sicilia è necessario spostarsi a Favignana e presso l’intero arcipelago delle. Fu Vincenzo a capire che conservare il tonno sott’olio e non sotto sale come si usava all’epoca era molto più remunerativo e salubre, Ignazio porta a termine l’dea rivoluzionaria del padre, inscatolare i tranci di pesce in comode scatolette rivestite di stagno con apertura a chiave. Nasceva il tonno a marchio Florio delle in uno degli stabilimenti più all’avanguardia per l’epoca, l’ex stabilimento è oggi museo.

Il leo bibens è ben visibile in un altro stabilimento in Sicilia dove, ancora oggi, si produce vino eccellente. Ci spostiamo a Marsala, patria del vino liquoroso che, tradizione vuole, il commerciante inglese John Woodhouse assaggiò a fine Settecento e trasformò negli anni a seguire in uno dei business più redditizi del tempo. Il commerciante inglese John Woodhouse rifugiatosi a Marsala, una piccola città a circa 30 chilometri da Trapani e  assaggiò il vino locale, chiamato Vino Perpetua, che fu invecchiato in legno per decenni, si rese conto di aver un concorrente altamente redditizio per il vino madeira, popolare in Inghilterra. Sapeva che se fosse stato fortificato,  avrebbe viaggiato meglio via mare e sarebbe stata un'alternativa molto più economica del suo rivale portoghese. Così comprò una vecchia conceria in città e la convertì in una cantina, la Baglio Woodhouse. La sua attività fiorì così tanto che, nel 1800, firmò una redditizia convenzione con Horatio Nelson per rifornire le sue navi di Marsala.

A lui seguì Benjamin Ingham rappresentare l'azienda della sua famiglia, i mercanti di stoffa di Leeds, ma era anche alla ricerca di interessi commerciali propri. Nel 1812, con la furia di Woodhouse, Ingham alleò una cantina proprio in fondo alla strada dalla sua. Il nuovo arrivato introdussee innovazioni agricole ed enologiche, oltre ad aprire nuovi mercati per Marsala in Europa e nelle Americhe. Tra il 1830 e il 1840, Ingham era diventato l'uomo più ricco della Sicilia, importando ed esportando, insieme a Marsala, olio d'oliva, agrumi e zolfo, usando la propria flotta di navi per trasportare la merce.
Il terzo dei re Marsala era Vincenzo Florio, contemporaneamente avversario di Ingham nel settore vinicolo e associato in altre iniziative di fare soldi, tra cui la Anglo-Sicilian Sulphur Company. Nel 1832 acquistò il terreno tra le cantine di Woodhouse e Ingham e aprì la propria cantina, che, dopo un inizio difficile, si concentrò sull'eccellenza del prodotto. Anche lui investì nella spedizione per trasportare il suo vino.e, guarda un po’, proprio Vincenzo Florio che cominciò a produrre il vino apprezzato in tutta Europa.

Marsala Florio

Oggi il marchio Florio è stato acquisito dalla famiglia Reina e riunito in un’unica realtà con altri due brand storici: . Tre etichette siciliane che oggi si presentano nel baglio di Marsala  voluta da Vincenzo Florio nel 1832.
L’esperienza Florio è stata rivisitata con una nuova e bellissima sala degustazione; l’odierna enoteca con le note locandine pubblicitarie dedicate al mito dei Florio, quando la corsa automobilistica nelle strade tortuose delle Madonie attirava appassionati da tutto il mondo.
A Marsala, resta però come una volta l’antica bottaia, il suo profumo di cantina che si mischia alla brezza di mare, le botti in rovere rosso di Slavonia.
Da qui partivano le navi che portavano il Marsala dei Florio in giro per il mondo. Vincenzo Florio fu il primo a capire che la vera ricchezza sarebbe arrivata investendo nel trasporto di merci e persone e nel 1840 intraprese un’attività armatoriale su grande scala fondando con Ingham e più di altri 100 soci la Società dei Battelli a Vapore Siciliani. I Borboni prima, i Savoia più tardi gli assegnarono le concessioni per il servizio postale. E per essere certi che operai qualificati fossero in grado di creare e sostituire parti meccaniche, Vincenzo nel 1841 acquisì anche la Fonderia Oretea la cui ghisa e il cui ferro contribuirono in larga parte alla realizzazione della Palermo Liberty di inizio Novecento.

Ingham fu socio di Vincenzo anche nella Anglo Sicilian Sulphur Company Limited, nella produzione e del commercio dello zolfo in Sicilia Quella siciliana sembrava essere una miniera inesauribile e lo zolfo siciliano era il più venduto e ricercato per essere lavorato nelle fabbriche in Europa.
Quando, a partire dalla fine dell’Ottocento, la richiesta cadde e le miniere cominciarono a chiudere una dopo l’altra, in tanti emigrarono lasciando la Sicilia. Oggi molti siti sono in stato di abbandono, in alcuni sono stati allestiti musei come a Trabia Tallarita e a Cozzo Disi di Casteltermini. A Villarosa e Villapriolo , nel nisseno, è possibile fare un viaggio in quei giorni.
Dici Florio, le figure legate a loro sono Ingham, Whitaker, Tomasi di Lampedusa, Lanza di Trabia.

Il legame con Benjamin Ingham incise sull’operato di Vincenzo e Ignazio Florio. Zio e nipote si occuparono insieme della fabbrica dei vini a Marsala e della flotta di velieri che raggiungeva l’America del Nord e l’Estremo Oriente.
Il vino Marsala prende il nome dall’omonima città siciliana. Nonostante la denominazione italiana, la sua storia s’intreccia con l’Inghilterra, nel 1773 e il mercante John Woodhouse di Liverpool sta cercando di raggiungere Mazara del Vallo, ma, fermato dal brutto tempo, deve fermarsi al porto di Marsala, dove, in un’osteria, gli fu offerto un vino contadino detto Perpetuum. Al mercante piacque così tanto da comperare un numeroso carico di bottiglie, che allungò con acquavite e spedì alla sua città d’origine, dove questo vino liquoroso, simile al Porto, piacque così tanto agli inglesi da convincerli ad avviarne la produzione.

Villa Igiea e hotel Le Palme

L’edificio nord europeo è a pochi passi dal Grand Hotel et des Palmes, meglio noto come Hotel delle Palme, al principio residenza dei Ingham, poi trasformata dal Cavaliere Enrico Ragusa in una delle residenze più celebri di Palermo.
E nel primo Novecento pare che nella hall dell’albergo fosse costume lanciarsi il <guanto della sfida> tra amanti che si contendevano i favori di una dama. Pare che tra questi ci fossero anche Ignazio Junior e il conte Arrivabene, marito di Vera, una delle amanti tra le più celebri del Florio.
Vera non era infatti l’unica con la quale Ignazio aveva tradito Franca Jacona della Motta dei baroni di San Giuliano: tradizione vuole che ognuna delle 365 perle della famosa collana fosse in realtà un’amante da farsi perdonare. Altri sostengono che la collana arrivò in dono dopo un altro famoso tradimento, quello con Bice Lampedusa, madre dell’autore del Gattopardo.
Regina incontrastata di salotti e corti, bellissima accanto all’amato marito Ignazio Junior, Franca Iacona di San Giuliano fu amica di regnanti, capi di stato, artisti e poeti, icona della Belle Époque.
Con la sua lunga collana la ritrasse Giovanni Boldini con le spalle scoperte, bellissima, in un ricco abito nero, consegnandola alla storia.
È una collana di perle lunghissima, quella che Donna Franca indossa nel celebre dipinto di Giovanni Boldini.
365 perle, una per ogni giorno dell’anno e, dicono i maligni, una per ogni lacrima versata dalla donna.
Di certo non le mancavano i gioielli, alcuni dei quali così preziosi da far impallidire una regina, Donna Franca  una vera icona della nobiltà siciliana, chiamata “L’Unica” niente poco di meno che dal poeta Gabriele D’Annunzio, che ne ammirava l’eleganza e lo stile.
Villa Igea acquistata nel 1899 e inizialmente destinata a sanatorio di alto livello con farmaci e laboratori all’avanguardia, Villa Igiea fu presto trasformata su progetto dell’architetto Ernesto Basile in un albergo di lusso conosciuto.

Palazzo Butera a Palermo

Nel nostro viaggio sulle tracce lasciate dai Florio, , settemila metri quadri, 118 finestre  Palazzo Butera guarda al mare, quello stesso mare da cui, al principio del 1800, i Florio arrivarono e costruirono un impero.
Voluto dalla potente famiglia dei duchi Branciforti nel 1692, passa nel 1814 di proprietà ai Lanza, principi di Trabia, nel 1885 e il palazzo si apre alla stagione palermitana della Belle Époque.
Palazzo Butera rimesso a nuovo si è avuto nel 2018, a restauro parziale, con Manifesta12, la Biennale europea d’arte contemporanea. Al pianterreno luoghi di ristoro direttamente collegati alla Passeggiata delle Cattive, un camminamento ottocentesco sospeso sul mare; una mostra dei sopraporta del piano nobile coi dipinti delle dieci città possedute dai Branciforti, principi di Butera; una scala elicoidale con passerelle sopra manufatti direttamente provenienti dalla fonderia Oretea, l’archivio del 1795 finemente restaurato, il grande cortile con la pianta di jacaranda le cui radici hanno raggiunto i canali idrici del palazzo e sono visibili, custodite da un pavimento a vetri ed esaltate da maioliche antiche che ne segnano il percorso.
Tutto attorno c’è Palazzo Abatellis, lo Steri, la Kalsa, lo storico quartiere di origine araba.

Fonderia Orotea

La Fonderia Oretea: cambiò destinazione d’uso e durante la Seconda Guerra Mondiale fu bombardata e quasi totalmente distrutta. Oggi è stata restaurata e trasformata in un luogo d’aggregazione culturale.

Il Palchetto della Musica in piazza Castelnuovo, meglio nota come piazza Politeama a Palermo è rimasto al suo posto. Voluto dai Florio e realizzato dallo scultore Salvatore Valenti è ancora oggi un punto di riferimento per i palermitani.

Infine nel cimitero, il Santa Maria Gesù a Palermo dove, nella cappella progettata dall’architetto Giuseppe Damiani Almeyda, riposano i Florio. A guardia del loro sonno eterno c’è un leone.


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