L'arte dolciaria dei Monasteri

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L'arte dolciaria dei Monasteri

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Pubblicato in Street Food, Vino, Birra, Dolci · Giovedì 08 Apr 2021
Tags: dolcemonasteroconventiartedolciariaSiciliapasticceria

L'arte dolciaria dei Monasteri

Nella Sicilia del Settecento c'era una curiosità che accomunava la vita monastica, nei monasteri era uso, aveva una "Piatta", cioè un tipico dolce. E’ plausibile che i conventi si specializzassero nella preparazione di un determinato dolce, probabilmente per non essere confuse.
Dobbiamo conoscere un aspetto, i monasteri si erano diffusi per volontà delle famiglie aristocratiche per non disperdere i patrimoni, il maggiore dei figli si assicurava l’integrità del patrimonio, gli altri fratelli potevano scegliere tra la vita monastica o la carriera militare, invece le sorelle erano costrette a prendere i voti relegate in una clausura senza vocazione. Esse ricevevano delle piccole doti a vantaggio dei monasteri in cui erano. La vita monastica aveva ritmi serrati, la vita di ogni giorno scorreva nel silenzio, l’unica espressione verbale consentita era la preghiera, così trascorrevano la maggior parte del tempo a recitare salmi, preghiere e letture. Le suore di clausura oltre che alla preghiera e alla meditazione, si dedicavano all’arte del cucito ed alla raffinata preparazione dei dolci che donavano alle poche persone con cui interagivano, come vescovi, medici o contabili, per ricambiare i favori ricevuti, altri venivano venduti per il loro sostentamento.
L’arte dolciaria è stato uno dei punti fermi che ebbero i monasteri  femminili, non erano frequenti le pasticcerie e la preparazione dei dolci all’interno dei monasteri per le suore era l’unica forma di libertà, un modo per restare in contatto con il mondo esterno. Con il passar del tempo la produzione pasticciera dei monasteri femminili, tenuto conto dei risultati ottenuti, si era trasformata in attività commerciale, vendita al pubblico per mezzo di un’apposita ruota incastrata nel muro.
Era possibile acquistare i dolci attraverso una ruota, simile a quella che veniva usata quando si abbandonavano i neonati si porgeva il denaro e poco dopo si ritirava il vassoio con i dolci.
Dolci cannoli, cassate, pan di spagna, durante le settimane precedenti la pasqua, il Carnevale, o feste religiose, o feste in casa, si riversavano nelle case di chi poteva permetterseli, famosi ancora oggi ad esempio le Minne di Virgine (cassatelle a forma di mammelle simili a quelle che a Catania si preparano in onore di Sant’Agata), e potremmo dilungarci nelle prelibatezze preparate dalle suore.
Erano celebri le Feddi (in siciliano le natiche, quindi, è chiara l’allusione al culo delle suore) delle benedettine del Gran Cancelliere.
Le suore del Conservatorio di Santa Lucia, erano famose invece per la Cuccia (frumento bollito condito con crema di ricotta), in ricordo del voto fatto alla Santa che fece arrivare a Palermo, dopo un periodo di carestia, una nave carica di grano.
Anche nei periodi di digiuno, durante i quali non era permesso mangiare carne, latte, formaggi, uova e grassi animali, le monache non lesinavano dolci e così inventarono i Quaresimali (biscotti croccanti a base di farina, zucchero e mandorle). E per Pasqua la facevano da padroni i Pupi con l’uovo (dolci di pasta frolla a forma di pupattolo in cui veniva inserito un uovo sodo).
Per San Martino, infine, i Biscotti di San Martino nelle varianti "chini" (inzuppati in liquore e farciti con crema di ricotta) o "decorati" (ricoperti di glassa e confetti e ripieni di conserva), entrambi accompagnati da vino moscato.
Un contributo alla dolcificazione, prima era il miele, erano alcune barbabietole che potevano essere processate per ottenere una sostanza dolce (zucchero bianco) in grado di sostituire il miele o lo zucchero di canna. Le barbabietole erano una coltivazione comune in Sicilia e così le suore poterono diedero impulso alla loro creatività a livello gastronomico.
Uno degli esempi più famosi di dolci realizzati modellando lo zucchero è la frutta martorana, fatta di mandorle e zucchero e che può essere forgiata a replicare quasi qualsiasi frutto. Deve il suo nome alla Chiesa di Santa Maria dell'Ammiraglio o della Martorana, fondato dalla nobildonna Eloisa Martorana nel 1194, da cui prese il nome, e di quello di Santa Caterina nel centro storico di Palermo dove le suore la preparavano e la vendevano.
Secondo una nota, la frutta di Martorana è nata perché le monache del monastero della Martorana, per sostituire i frutti raccolti dal loro giardino ne crearono di nuovi con farina di mandorle e zucchero, per abbellire il monastero per la visita del papa dell'epoca.
A Palma di Montechiaro, fondato dalla famiglia che figura nella famosissima opera Il Gattopardo, di Giuseppe Tomasi da Lampedusa, si preparava la “cassatella”, ricoperta di glassa bianca e ripiena di pasta di mandorle e zucca, e i “biscotti ricci del Gattopardo”, a base di pasta di mandorle e cannella.

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