Siciliani in movimento, l'emigrazione, adattamento e resistenza

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Siciliani in movimento, l'emigrazione, adattamento e resistenza

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Siciliani in movimento, l'emigrazione, adattamento e resistenza

Che i siciliani si siano adattati ai luoghi di accoglienza, e come abbiano reagito tra rifiuti e segregazione, lo si può solo immaginare e che alcuni abbiano talvolta scelto l’illegalità per affermare il proprio diritto ad esistere come comunità, è storia.

La Sicilia è stata l’ultima regione italiana a partecipare al grande esodo migratorio di fine Ottocento ed è attualmente la regione con più emigrati all’estero.
Prima dell’ultimo quarto dell’Ottocento i movimenti di siciliani verso l’estero erano ridottissimi e nulla faceva presagire il boom successivo.
Fino all’Ottocento l’isola è aperta a ogni tipo d’immigrazione. Toscani, liguri e lombardi nel tardo medioevo, ma non dobbiamo dimenticare gli schiavi africani i greco-albanesi, che si trasferirono in Sicilia dopo il 1450 formando quattro o cinque villaggi.
Altri arrivi con i nobili aragonesi, castigliani, dei mercanti e banchieri catalani, e dei mercanti e banchieri dell’Italia del Nord (di nuovo soprattutto lombardi, genovesi, toscani) che si installarono a Palermo e Messina e distribuirono loro agenti in tutta l’isola, per non dimenticare gli inglesi.
In Sicilia si lavora presso le tonnare nei campi di grano si produce la seta, si estrae lo zolfo,
la produziine del vino e delle olive, gli agrumi.

Sul finire dell’Ottocento gli spostamenti dalla Sicilia coinvolgevano prevalentemente il bacino del Mediterraneo: la meta privilegiata era la Tunisia. Qui gli istituti arabi avrebbero incoraggiato l’acquisto delle terre, favorendo la formazione di colonie di proprietari coltivatori, che con il loro lavoro avrebbero contribuito a far prosperare il paese.

Cosa avrebbe fatto presagire che da crogiuolo di lingue, culture e tradizioni che nei secoli accolse popoli del Mediterraneo, la Sicilia si apprestava a diventare terra di emigrazione.

La meta privilegiata furono gli Stati Uniti: di tutti gli emigrati siamo nel primo il 1890 e il 1913, che lasciavano la terra per cambiare il proprio destino.
Al Sud uno dei motivi tra i tanti furono le conseguenze del sistema successorio, che portò al progressivo frazionamento delle proprietà, che le rese  insufficienti a garantire il sostentamento della famiglia.

Il risultato fu che molti comuni subirono un vero e proprio svuotamento. Ne conseguì una scarsità di manodopera, che provocò un rialzo dei prezzi e una diminuzione delle colture.

Cin la prima emigrazione, fino al 1925, si aveva l’idea prevalente del ritorno al paese.

Certamente però, il carattere di massa, l’assenza di una caratterizzazione di mestiere, la prevalente destinazione verso lavori di fabbrica non specializzati, le danno forti connotazioni di emigrazione.
Dopo il 1925 e fino alla crisi dei primi anni 1970, anche la prospettiva del ritorno, del successo da godere nella propria terra, decade, tutto a  svantaggio di una destrutturazione della società agricola siciliana, fece venire meno l'idea del ritorno in terra natia.

Infine si assiste alla terza fase, tra la fine del Novecento e gli inizi del nuovo millennio, sembra collegata soprattutto alla difficoltà per i giovani diplomati e laureati di trovare il lavoro richiesto e alle maggiori possibilità di movimento in ambito europeo.

Con i migranti e gli emigranti, tra razzismo, intolleranza, migrazioni più o meno forzate dal cercare lavoro, sfruttamento, tra persone che si spostano abbandonano per motivi di povertà, è strettamente collegato lo svilupparsi e il consolidarsi di idee razziste, e portano l'idea che il nuovo arrivato sia inferiore, culturalmente e storicamente.

Cosi la sua inferiorità serve al suo sfruttamento. Quando l'idea era che da un Europa povera ci si dirigeva verso un Paese che stava crescendo, con opportunità all'orizzinte, terra libera, cosi l’emigrazione diventa funzionale ai loro bisogni, vanno  a sostituire una forza lavoro che per motivi politici era diventata del tutto improponibile. Gli schiavi, infatti, non erano più schiavi e ne occorrevano altri.
Non dobbiamo dimenticare che i siciliani  furono oggetto di un baratto tra il Regno d’Italia e la Louisiana.
Quest’accordo nasce con l’Unità d’Italia e l’annessione della Sicilia al Regno dei Savoia si registrarono le prime rivolte, essenzialmente economiche, delle classi più basse. Quei contadini non dovevano avere le terre e il Regno aveva quindi l’interesse a mantenere l’ordine anche attraverso repressione e deportazioni forzate. Dall’altra parte, negli Stati Uniti del Sud , la sconfitta del sistema economico schiavista aveva imposto la necessità di farlo funzionare diversamente.

In precedenza il rapporto tra Sicilia e Stati Uniti alla fine della prima guerra mondiale, porto con se la costruzione di navi più grosse, e questo aveva favorito l'esportazione di agrumi, frutta e zolfo.
La ricchezza prodotta non proveniva dal latifondo ma da una coltivazione su appezzamenti di più piccola scala, che necessitava di investimenti sempre più importanti. C’erano tante piccole aziende, che sapevano come produrre, spedire, commercializzare.
C8n l'avvent9 dei savoia, il transito di garibaldi in sicilia ed i moti che comportò, questo patrimonio non solo non fu tutelato dal Regno, ma si preferì un accordo economico politico con la grande proprietà e con la Chiesa prima spogliata di tutto a favore del terreno ai bisognosi i nobili riuscironi a tenere per se le terre migliori, con il beneficio della cultura e con la nuova economia dei latifondi, la scelta strategica fu letteralmente quella di mandare via i contadini dalle terre, troppe bocche da sfamare per città troppo piccole le troppe terre abbandonate, una scelta da fare emigrare per sopravvivere e garantirsi un futuro migliore.



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