Ballata di lupara del cantastorie Franco Trincale

Blog di clicksicilia.com

Benvenuti nel blog di clicksicilia, il posto perfetto per scoprire tutte le informazioni e le curiosità sulla meravigliosa Sicilia. Qui troverete articoli interessanti su luoghi da visitare, tradizioni locali,
piatti tipici e molto altro. Siamo appassionati di turismo e desideriamo condividere con voi le nostre esperienze e consigli per rendere il vostro viaggio in Sicilia indimenticabile. Scoprite con noi i tesori nascosti dell'isola, le sue spiagge incantevoli, le città d'arte e i borghi pittoreschi. Siamo qui per accompagnarvi in un viaggio alla scoperta delle meraviglie di questa terra affascinante.
Vai ai contenuti

Ballata di lupara del cantastorie Franco Trincale

Il blog di clicksicilia, informazioni e curiosità per scoprire la Sicilia

Ballata di lupara del cantastorie Franco Trincale

Ballata di lupara del cantastorie Franco Trincale, espresse le riforme che sin dal fascismo prevedevano l’inserimento del Mezzogiorno in una società pluralistica e la persistenza degli assetti latifondisti e delle mediazioni capitalistiche nelle forme cristallizzate della mafia.

Armato di chitarra ha raccontato e tradotto in musica le storie dell’ultimo mezzo secolo d’Italia. Dalle fabbriche alle piazze e da ogni luogo dove protagoniste sono le persone e le loro lotte. Mettendo il dito nell’occhio dei resoconti ufficiali e della stampa

Lu Cantastorie cala lu telone/
la storia è terminata di cantari/
n’avvertimentu a tutti li personi/
sta società bisogna di cambiari.

Franco Trincale, “Una piazzetta, un cartellone, una chitarra ed una voce popolare/per raccontare storie di terre e di mare!  Canta il Cantastorie e “cunta”:

parla d’Amore, e di guerra, di Pace, di storie di sempre, da che esiste la Gente! /Canta di popoli vissuti lontani nel tempo, che combatterono, come quelli di oggi, /per vivere meglio, contro ogni stato sovrano!/La gente si avvicina, la gente si allontana: si mantiene “distante” e, distrattamente, fa finta di niente./ Ma quando il Cantastorie incomincia a cantare con quella sua voce calda e popolare, la gente ammutolisce e si lascia trasportare;/ diventa silenziosa, attenta, si commuove, piange e ride e riflette!/ (da http://www.trincale.com/)”.

Franco Trincale, così riassume la sua arte di cantastorie. Ultimo trovatore, incarnazione dalla nobile tradizione dei cantastorie siciliani, quella tradizione l’ha fatta rinascere a Milano, nel cuore della città meneghina, in quel nord di fabbriche e industrie, di disoccupati e di malaffare che negli anni del boom economico, e a seguire, è stata la sua piazza, il palcoscenico di una protesta suonata e cantata. E mostrata nelle tele dipinte a fumetti. Cartelloni esplicativi, come tipico dei veri cantastorie.

Si trasferisce a Milano nel dopoguerra, come tanti in quegli anni, in cerca di lavoro. La Milano è quella alienata, mirabilmente raffigurata da Luciano Bianciardi nel suo capolavoro “La vita agra”. Quella Milano in cui; “È aumentata la produzione lorda e netta, il reddito nazionale cumulativo e pro capite, l’occupazione assoluta e relativa, il numero delle auto in circolazione e degli elettrodomestici in funzione, la tariffa delle ragazze squillo, la paga oraria, il biglietto del tram e il totale di circolanti su detto mezzo, il consumo del pollane, il tasso di sconto, la statura media, la produttività media e la media oraria al giro d’Italia. Tutto quello che c’è di medio è aumentato” [Bianciardi, L. 2009, pp. 157-158].

Una città di disuguaglianze profonde, di immigrati in cerca di un futuro, di donne e uomini sempre di fretta.
Una cosa però ha imparato, oltre a maneggiare armi: suonare la chitarra e comporre ballate.
Di qui il progetto di fare della musica una professione: “Invece della mitraglia – dice – ho preferito la chitarra, facendo il cantastorie” [Straniero, M.L. p. 13].
Un’ambizione che non nasce dal nulla, ma dall’ascolto dei cantastorie che attraversavano i piccoli paesi della Sicilia, come Militello, in provincia di Catania. Lui, bambino appassionato, assisteva a quegli spettacoli con occhi meravigliati. In famiglia, poi, il padre era attore drammatico dialettale, già dentro al mondo dell’arte.
Così è la musica, la vocazione. Franco si esibisce nelle piazze siciliane, cominciando a farsi conoscere. Poi un compare salito al nord per lavorare come muratore gli racconta che a Milano la gente che canta nelle piazze raccoglie anche cinquecento lire. Impensabile un tale guadagno al sud.
Franco si convince. Ed è vero che la gente è tanta nella grande città, e spesso si ferma ad ascoltare un cantastorie. Il problema è la lingua, quel dialetto siciliano che al nord nessuno capisce, se non i meridionali. Che a Franco, narratore di storie e di cronache, non bastano come pubblico. “Mi arrabbiavo – dice – quando non riuscivo a comunicare, a far fermare, anche la gente del Nord, il milanese…Allora m’accorsi che dovevo un po’ cambiare il linguaggio, e uscire fuori da quello che era il dialetto puro della mia ballata” [Straniero, M.L. p. 12]. Così decide di italianizzare il suo dialetto per renderlo comprensibile a tutti, pur mantenendo certe tipicità, per marcare comunque il suo specifico di cantastorie. Questa manipolazione della lingua è anche una scelta coerente con un obiettivo importante che si è posto: con le sue canzoni intende arrivare a tutti, anche a coloro che, analfabeti o senza una lira, non leggono un quotidiano e non conoscono ciò che avviene nel Paese, le disgrazie, i problemi della società. Cantare quelle canzoni, con quel suo italiano misto al siciliano, è una scelta politica, di cui egli è ben consapevole.
“Io sono nato laggiù in Meridione – canta – […] dove in pochi si legge il giornale e la scuola non è obbligatoria/ dove a sedici anni si è sfruttati/ ed a vent’anni in Questura arruolati […] Io sono nato laggiù in Meridione/ e voglio fare la rivoluzione” [Il Meridionale in Straniero, M.L. p. 19].

Nei primi tempi intrattiene i passanti con le tipiche canzonette napoletane, come Lazzarella e Guaglione. E la gente si ferma, ascolta piacevolmente. Il problema nasce quando Franco intona le sue ballate politiche.
È lì che se ne vanno, sia i settentrionali che i meridionali. E a lui prende una gran rabbia, perché ciò per cui vuole essere ascoltato sono quelle ballate, di protesta e di lotta. E presto si accorge che lì al nord è ben accetto fino a che resta nello stereotipo del cantore folcloristico, quando invece il discorso tocca argomenti fastidiosi allora “t’incominciano non solo a scansare tutti, ma t’incominciano a mettere gli ostacoli per non farti più andare avanti” [Straniero, M.L. p. 16].

Come la lotta alla mafia. Cantata di lupara è dedicata a Salvatore Carnevale ucciso dalla mafia padronale a Sciara. Salvatore, gran faticatore, lavorava nei campi e come operaio nelle fabbriche. Poi divenne sindacalista e incitava i suoi compagni a reagire di fronte allo sfruttamento: operai, zappatori, contadini, minatori per tutti esisteva un futuro migliore. I discorsi di Salvatore infastidivano i grandi proprietari, ma “Salvatore non cedette alle minacce del grosso padrone agrario così il padrone pagò i mafiosi che appostatisi all’alba dietro una siepe spararono alle spalle di Salvatore Carnevale” [Straniero, M.L. p. 20]. Salvatore Carnevale fu trovato assassinato con due colpi di lupara all’alba del 16 maggio 1955, mentre si recava a lavorare in una cava di pietra. Aveva 31 anni.
Fonti di questo articolo:


Non sono presenti ancora recensioni.
0
0
0
0
0
Torna ai contenuti