Il Pane in Sicilia come fattore antropologico e culturale

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Il Pane in Sicilia come fattore antropologico e culturale

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Pubblicato in Feste sagre festività · Venerdì 12 Apr 2024
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Il Pane in Sicilia come fattore antropologico e culturale

Nella storia dell’alimentazione il pane è sicuramente uno dei cibi più carichi di significati, perchè rappresenta per l’uomo il riscatto dalla fame e il proprio dominio sulla natura.
Niente oggigiorno di più comune del pane, ma questo al di là del consumo quotidiano, ha rappresentato un segno nella società contadina, prodotto finito di un faticosissimo lavoro, ed in cui confluivano le ansie, e le speranze dei contadini, a pani devozionali per cerimonie religiose.

Il pane può così aveva assunto il valore di offerta o di dono, come gli ex voto, oppure strumento di alleanze o di solidarietà.
Diverso il pane rituale, perchè diventa difficile tracciare una netta linea di demarcazione tra pani e dolci, anche perché nell’alimentazione contadina, la produzione domestica del dolce non era praticata, e la sua mancanza viene in un certo senso sostituita dal pane fritto o condito con frutta secca ed aromi.
Il pane è alla base della cucina contadina, anzi ne costituisce spesso un unico elemento, si configura come il prodotto finito del duro lavoro nei campi, l’aratura, la semina la mietitura, la trebbiatura infatti sono operazioni che in una campagna senza meccanizzazione dipendevano dalle braccia del contadino.
Inoltre come afferma il Salomone Marino, “la devozione entra anche nel lavoro dell’infornata”, innanzitutto si comincia col dire: “In nomu di lu Patri di lu Figghiu e di lu Spiritu Santu, Sant’Agati dati focu a li balati”, e poichè con questa operazione finisce la fatica e la responsabilità della massaia,
Il Pitrè fa un elenco di pani giornalieri, diverso il discorso del pane nelle feste.

Mazara del Vallo, per San Vito patrono, in passato si preparavano dei piccoli pani a forma di ciambella detti “panitti i San Vitu” che si solevano offrire al santo contro il morso dei cani e per fare guarire i pazzi.

A Palazzolo Acreide, il 29 Giugno giorno in cui ricorre la festa di Sali Paolo i pani sono ancora come ai tempi del Pitrè, offerti al santo e venduti all’asta nella sacrestia, si tratta delle “cudduri di San Paulu”, grosse ciambelle decorate a rilievo sulla superficie con serpenti di pasta e guarnite con un vistoso nastro rosso. Il devoto che acquista questa cuddura ritiene che in questo pane ci sia qualcosa di misteriosamente soprannaturale e perciò lo distribuisce tra i familiari e gli amici, che ne mangiano un pezzo o lo conservano per devozione. Il richiamo figurativo al rettile allude alla tradizione agiografica che assegna al Santo la protezione dai morsi velenosi, infatti secondo gli Atti degli Apostoli mentre San Paolo si trovava nell’isola di Malta fu morso da una vipera rimanendone immune.

Agrigento ed a Naro, per San Calogero particolarmente amato nella cultura contadina in quanto protettore del raccolto estivo, qui nel giorno della celebrazione del santo, una pioggia di piccole fette di pagnotte “muffuletti” vengono lanciate dai fedeli sul fercolo del santo portato in processione, i pezzetti di pane vengono poi raccolti e conservati per devozione, ma anche mangiati come cibi benedetti.

Avola e Melilli, dove esiste la tradizione di preparare per la ricorrenza di San Sebastiano un enorme numero di piccoli pani azzimi i “cuddureddi” decorati con nastrini rossi e gettati al passaggio della statua.
Altre forme del pane assumono l’aspetto di veri e propri ex voto e riproducono pertanto le parti del corpo guarite per grazia ricevuta, nel Nisseno sono diffusi infatti i pani a forma di mani e braccia portati in dono dai fedeli presso il santuario di San Calogero,

Palagonia si usa preparare per devozione a Santa Febronia un pane votivo che riproduce il reliquario raffigurante la mano della Santa, che si conserva nella Chiesa madre locale.

Nella valle del Belice, per la “triricina di Sant’Antuninu” ovvero durante i primi tredici giorni di giugno dedicati al santo. Si tratta di “lu panuzzu i Sant’Antuninu”, un piccolo pane rotondeggiante di circa 100 grammi talvolta ricoperto di “giuggiulena” (sesamo) che portato in chiesa si fa benedire e si distribuisce poi ai vicini.

Per la ricorrenza di Santa Lucia il 13 dicembre quasi in tutta la Sicilia è ancora osservata la tradizionale penitenza secondo la quale bisogna astenersi dal mangiare, pane e pasta. per l’occasione infatti si consuma la “cuccìa” una sorta di zuppa di grano bollito condito con vino cotto, per Santa Lucia, panelle e cuccìa”. Questo è un detto popolare molto ricorrente nella giornata del 13 dicembre. Serve a ricordare la pratica del digiuno in onore della Santa, che consiste nel non mangiare derivati del grano.
Vista la carestia che colpi duramente Palermo e Siracusa, stremati dalla fame, pregavano la Santa affinché facesse arrivare le provviste di grano che scarseggiavano in città. Compiuto il miracolo, da questo episodio, per secoli i cittadini di Palermo hanno ricordato l’accaduto astenendosi per l’intera giornata del 13 dicembre dal consumare farinacei, dopo si è estesa la tradizione in tutta la Sicilia.



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