Il Regno di Sicilia ed il regalo delle terre ai feudatari

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Il Regno di Sicilia ed il regalo delle terre ai feudatari

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Il Regno di Sicilia ed il regalo delle terre ai feudatari, dalla concessione regia alla piena proprietà

Il regno di Sicilia risale al sec. XII, costituitosi quando Ruggero II d'Altavilla, nel 1130, procedette alla fusione della Contea di Sicilia e del Ducato di Puglia e Calabria, dando inizio così alla fase di dominazione della sua dinastia, conclusasi nel 1194.
A partire dal 1266, con il regno di Carlo I, la Sicilia passò nelle mani degli Angioini, la cui presenza nell'isola fu poco dopo messa in discussione dalla cosiddetta rivolta dei "Vespri siciliani", scoppiata a Palermo nel 1282, che portò alla cacciata dei francesi dall'isola ed all'avvio del conflitto tra Angioni ed Aragonesi per il controllo dell'Italia meridionale.
Con la pace di Caltabellotta del 1302, venne sancita la separazione tra i due regni: Regnum Siciliae citra Pharum (Regno di Napoli) e Regnum Siciliae ultra Pharum (noto anche, per un breve periodo, come Regno di Trinacria), con la condizione che Federico III di Aragona continuasse a regnare con il titolo di re di Trinacria e che alla sua morte la corona tornasse agli Angioini.
Fu solo con il trattato di Avignone del 1372 che Giovanna I d'Angiò, regina di Napoli, riconobbe l'autonomia della Sicilia e il dominio aragonese.
A partire dal 1412 si aprì un nuovo capitolo nella storia della Sicilia: con l'annessione diretta alla corona di Aragona l'isola perdette la sua autonomia e fu affidata ad un viceré. Nel 1512, con l'unificazione del Regno di Aragona con quello di Castiglia, ad opera di Ferdinando il Cattolico, la Sicilia si costituì il Regno di Spagna: la Sicilia passò sotto la diretta dominazione spagnola con Carlo V d'Asburgo, dal 1516 re di Spagna, dal 1519 di Germania e d'Austria, poi imperatore, unita, nel 1556, agli Asburgo di Spagna.
Nel periodo 1700-1713, si inaugurò la presenza borbonica in Sicilia, con il passaggio a Filippo IV di Borbone, re di Spagna che portò l'isola fino al 1720 sotto il dominio sabaudo, con Vittorio Amedeo, duca di Savoia e Piemonte.
Con il successivo trattato dell'Aia del 1720, la Sicilia tornò nei domini degli Asburgo, questa volta alle dipendenze dell'Austria, e amministrata dai viceré fino al 1734 quando, con l'incoronazione del 1735 e re di Spagna dal 1759. In tal modo la Sicilia tornava ad essere uno stato indipendente, col Regno di Napoli, il nuovo sovrano, residente a Napoli, lasciò a Palermo.
Con la conquista napoleonica del Regno di Napoli, il nuovo sovrano Ferdinando III, subentrato a Carlo nel 1759, che aveva invece mantenuto il controllo della Sicilia, nel 1798 fu costretto a rifugiarsi a Palermo. Tornò a Napoli solo dopo gli accordi con Napoleone nel 1802, rientrando a Palermo nel 1805 in conseguenza dell'invasione francese dei territori del Regno di Napoli.

Di fronte alla costante minaccia napoleonica e in risposta alla rivolta scoppiata nell'isola dopo il 1810, vista la presenza inglese a protezione dell'isola, nel 1812 venne concessa la Costituzione di Sicilia, redatta sul modello inglese.
Tornato re in Sicilia nel 1814 e rientrato anche nel Regno di Napoli nel 1815, dopo la caduta di Gioacchino Murat, Ferdinando non convocò più il Parlamento siciliano, provocando, di fatto, l'abrogazione della Costituzione del 1812.

Soppresso nel dicembre 1816 il Regno di Sicilia, l'isola entrò a far parte del nuovo Regno delle Due Sicilie, come Domini al di là del Faro.

Una delle leggi eversive della feudalità, dette anche di eversione della feudalità

Una delle leggi eversive della feudalità, dette anche di eversione della feudalità, sono state dei provvedimenti legislativi, attuati tra il 1806 e il 1808, con i quali Giuseppe Bonaparte, re di Napoli e fratello di Napoleone, abolì la feudalità nel Regno di Napoli durante il cosiddetto Decennio francese.
Frutto della rivoluzione francese, il 4 agosto del 1789 abolì il feudalesimo.

In Italia il Regno di Napoli ebbe un fiorire delle istituzioni feudali, con un atto di rottura delle tradizioni locali, volle abolire l'ultimo retaggio della feudalità nell'Europa occupata dai francesi, anche se ormai la spinta rivoluzionaria giacobina era da tempo attenuata.
Ricordiamo che un primo atto di cesura rispetto alle istituzioni d'ancien régime, la legge n. 130 del 2 agosto 1806, il cui primo articolo recitava:
«La feudalità con tutte le sue attribuzioni resta abolita. Tutte le giurisdizioni sinora baronali, ed i proventi qualunque che vi siano stati annessi, sono reintegrati alla sovranità, dalla quale saranno inseparabili»
Questo provvedimento rispondeva ad una effettiva esigenza di rinnovamento.
Fu innanzi tutto necessaria la ricognizione dei beni demaniali, molti dei quali erano stati usurpati nel corso dei secoli. Altro grande problema era che sui beni feudali coesistevano antichi diritti delle popolazioni locali, in base al principio ubi feuda, ibi demania e che portarono al riconoscimento degli usi civici. La serie dei provvedimenti proseguì con la promulgazione della legge 1º settembre 1806, e del Real Decreto del 3 dicembre 1808, che affidava agli Intendenti di ciascuna provincia il compito di determinare i diritti residui degli antichi baroni. Fu istituita anche una magistratura speciale, la Commissione Feudale, per dirimere l'enorme contenzioso tra i baroni e le università, gli antichi comuni.

La feudalità era abolita, ma tutti i possedimenti feudali, con il termine feudo si indicavano i beni ricevuti in "concessione regia" dietro prestazione di un giuramento di fedeltà, il c.d. "omaggio feudale, si trasformavano in "piena proprietà" o in proprietà allodiale, nel medioevo l'allodio era utilizzato per indicare i beni e le terre che si possedevano in piena proprietà in opposizione a feudo o beneficio.
Dunque, nella Costituzione fu inserito un grande omaggio: i baroni siciliani da feudatari diventavano "pieni proprietari" di beni e terreni prima ricevuti ed amministrati in regime di "concessione".



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