Cui la voli cotta e cui la voli cruda

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Cui la voli cotta e cui la voli cruda

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Pubblicato in Cultura e Società · Giovedì 08 Dic 2022
Tags: pastacucinacottaocrudaSicilia

Cui la voli cotta e cui la voli cruda

La cucina e la composizione sono due mondi ognuno con una propria dinamica progettuale, la difficoltà sta nell’accomunarle, l’impiattare è un’arte, quindi non solo semplicemente disporre il cibo sul piatto, piuttosto la si definisce una pratica meticolosa che inizia dalla scelta del piatto ed arriva alle pietanze.
Questo salvo quando non sia necessità e la cucina si basa più sull’idea di ristorazione non concepita come esperienza di gusto per palati attenti e che possa soddisfare la vista, piatti semplici che inducono alla riconoscibilità del prodotto finale.
C’è una cucia che risponde a dominare direttamente la passione della gola e favorisce.
Non parliamo neanche se in ogni piatto l’aggiunta dell’olio di oliva a crudo, l’accademia della crusca docet “La locuzione avverbiale a crudo sembra in effetti essersi cristallizzata nella lingua della cucina”, neanche nel conquibus, che chiaramente condizionava i commensali, si parla semplicemente della pasta consumata e d’un certo padre che essendo avanzato nell’età aveva mandato in vacanza i suoi denti ed essi non avevano fatto ritorno ed avea una concezione propria della pasta cotta.
In soccorso arriva l’etnografo Pitré, cosa centra, lo capireste se aveste letto le novelle popolari siciliane.
A quanto pare in un convento si cucinava spesso e volentieri pasta; e già erano pure fortunati perché, si rischiava di mangiar minestra ad ogni dì.
Ora, immaginate già che ci sono problemi ogni volta che cucinate a casa perché chi sente troppo sale, chi pasta sciapita, si finisce per trovarsi alla tavola con questioni di fede.
In questo non meglio identificato convento, ogni volta che fra' Giovanni scendeva la pasta, c’era sempre il confratello come padre Attilio che non aveva denti, quello che la trovava dura, quello che sentiva troppo molla, chi scivolosa e via discorrendo. Va bene che nostro Signore ci lasciò detto di porgere l’altra guancia, ma quante guance doveva tenere questo poverazzo di fra’ Giovanni? Come arriva il giorno che si stacca il chiodo e casca il quadro, arrivò pure il giorno che Giovanni si ruppe l’anima, per mani aveva due pale, così per dire e decise di insegnare l’educazione a tutti i commensali.
Una mattina, quando fu ora di cucinare, pose la pentola sul fuoco, si mise a lato un bel bicchiere di vino di quello sincero, e aspettò che l'acqua bollisse. Quel giorno la calò tre volte la pasta fra’ Giovanni: la prima appena l’acqua bollì, la seconda a metà cottura, la terza quando la prima pasta era quasi già cotta. Si divertì a impiattare alla faccia dei confratelli e si divertì ancora di più a servirli al tavolo. Appena azziccarono la forchetta e infilarono la pasta in bocca ci fu il Viva Maria perché la pasta, ovviamente, aveva tre consistenze diverse o quantomeno era democratica. Lamentele a destra, pianti a sinistra, il caso andò a finire dal priore che si vide costretto a convocare il cuoco del convento.
«Giovà, ma che combinasti?» La risposta del frate ancora più impiattata della pasta a trecotture: “Reverendissimo”, così è a cu la voli cotta e cu la voli cruda. Io per accontentarli a tutti ho buttata la pasta in tre volte, così in ogni piatto ce n’è per tutti”.
“Cui la voli cotta e cui la voli cruda”.

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