Quando l'Inghilterra tesse rapporti commerciali con la Sicilia, tra miniere di zolfo e vigneti, le relazioni commerciali

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Quando l'Inghilterra tesse rapporti commerciali con la Sicilia, tra miniere di zolfo e vigneti, le relazioni commerciali

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Pubblicato in Storia e sicilitudine · Domenica 28 Mag 2023
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Quando l'Inghilterra tesse rapporti commerciali con la Sicilia, tra miniere di zolfo e vigneti, le relazioni commerciali crearono sviluppo e posti di lavoro

La Sicilia, una terra difficile, governata da una élite infida, ostile all'innovazione. Con baroni siciliani che sembrano appartenere ad un mondo troppo lontano e diverso, poco attento alle problematiche mediterranee, chiuso nella propria tematica.
Con una nuova classe sociale che scalpita, che mira ad eradicare quella vecchia con le loro vecchie idee, si insedia nella capitale e grazie all'appoggio dei nuovi governanti, scalza le più blasonate e antiche casate, un ceto medio miope, vede l'occasione per una crescita del proprio ruolo politico e sociale, con una vivacità carente se non nel potere del controllo, dove ratio studio e diritto, sembrano censurate se non nella nuova idea politica.

Siamo alla fine del 1700 e i primi del 1800 l’Inghilterra, per allargare la sua influenza commerciale e militare nel Mediterraneo, aveva allacciato relazioni commerciali, col Regno di Napoli.

A seguito della rivolta giacobina e dell’invasione francese del Regno di Napoli, Ferdinando II Re di Napoli, il  21 dicembre 1798 fuggiva alla volta di Palermo sulla nave inglese dell'ammiraglio Horatio Nelson. In quella occasione gli inglesi protessero la Sicilia dall’attacco delle truppe francesi.  

Il re Ferdinando di Borbone, nel 1799 aveva voluto esprimere la sua riconoscenza agli Inglesi e aveva nominato il comandante  di quella flotta, l'Ammiraglio Nelson, “Duca di Bronte”  e donandogli 7000 ettari di un fertile e ricco territorio sistemato sulle pendici occidentali dell'Etna.

Il Re Ferdinando tornò a Napoli al giugno 1802, grazie anche all’aiuto inglese dove eseguì una dura repressione.

Un altro intervento militare inglese, che salvò di nuovo il re e la sua corte dai Francesi avvenne nel 1806. Il 23 gennaio Ferdinando si era imbarcato sull'Archimede alla volta di Palermo.

Anche quella volta gli inglesi hanno protetto la Sicilia da una possibile invasione francese

Il 3 marzo 1808 tra la Corte di Palermo e quella di Londra, si era concluso un trattato d'alleanza per cui l'Inghilterra otteneva ogni tipo di franchigia per le sue truppe e la sua flotta, impegnandosi a mantenere un corpo di spedizione di circa 10.000 uomini.

Ma la presenza inglese in Sicilia non fu solamente militare, dalla II metà del 1700 in poi, la presenza di mercanti e di imprenditori inglesi crebbe notevolmente sino a raggiungere la massima intensità nel decennio di protettorato (1806-1815). Nel 1784 era arrivato in Sicilia John Woodhouse, uno dei più importanti commercianti inglesi, per acquistare ceneri di soda; qui si rese conto della potenzialità che offriva il settore vitivinicolo nell’area trapanese, e incominciò a dedicarsi alla produzione e alla commercializzazione del vino Marsala.

Dopo il 1806 arrivarono a Marsala altri commercianti inglesi, come Benjamin Ingham, Baron Beverley, Bernard Bishoff, James Carlill, William Turner, che, sull’esempio di Woodhouse, si inserirono nel settore vitivinicolo. La provincia di Trapani divenne gradualmente anche centro di affari di altre ditte e di altri connazionali inglesi, come James Hopps e Joseph Payne a Mazara, che si occuparono dell’esportazione di ceneri di soda, manna, mandorle e vino, Gli inglesi furono dei grandi imprenditori, che riuscirono a superare con grande spirito d’iniziative e con impiego di capitali adeguati, a superare i grandi ostacoli della cultura e burocrazia locale, avviando un processo di modernizzazione della Sicilia.

A seguito della grande richiesta di vino e mosto, la coltivazione della vite si estese dal marsalese in tutta la provincia di Trapani raggiungendo Castelvetrano e Salemi. Nello stesso tempo si sviluppò fra gli imprenditori locali la moderna concezione della coltivazione della vite e dell’industria enologica. Uno di questi imprenditori locali fu Vincenzo Florio, che presto entrò in competizione con un suo stabilimento vinicolo a Marsala a poca distanza da quelli di Woodhouse e Ingham.

Per quanto riguarda le miniere di zolfo della Sicilia, nel 1815, all'indomani del Congresso di Vienna, Londra e Napoli avevano stilato un trattato commerciale, in base al quale i mercanti inglesi si accaparrarono l'intera, o quasi, produzione di zolfi, con guadagni favolosi, senza lasciare utili alla Sicilia.

Nel corso di questo periodo storico, la nobiltà  e gli intellettuali siciliani avevano avuto intensi rapporti di simpatia e amicizia verso gli Inglesi, dominatori del mondo, per contro, gli inglesi si erano innamorati di quei nobili dalla calda e spensierata maniera di vivere alla grande, che disdegnavano il lavoro e dissipavano le loro residue ricchezze tra i piaceri  della buona cucina, gli amori passionali e i lieti festini. Gli uni e gli altri, che si consideravano perfetti come la massima espressione della volontà divina, non potevano che piacersi.

Dalla fine dell'Ottocento era andata crescendo l’ammirazione per gli inglesi da parte della nobiltà siciliana e delle migliori famiglie dell'isola e molti dei loro rampolli continuavano a frequentare l’Inghilterra, mentre l’uso di istitutrici inglesi per i propri figli era diventato simbolo di orgoglio e di vanto.

Londra, in contrasto con la corte Borbonica, miravano a impossessarsi dell'isola per farne, assieme a Malta, la loro più grande base operativa del Mediterraneo.

A tale scopo ne agevolavano le aspirazioni indipendentiste, plagiavano i nobili, e cercavano di mettere il Parlamento siciliano contro Corte e Corona.
L’ingerenza inglese si ammantava di pretesti umanitari: la volontà di smantellare il regime dispotico di Ferdinando II e di sostituirlo con un sistema costituzionale e liberale nel quale fossero garantiti i diritti politici e civili.
Si spinsero fino al punto che, il 18 luglio del 1812, riuscirono a far sì che il Parlamento Siciliano approvasse all'unanimità una nuova Costituzione Liberale in 15 articoli che, costruita sul modello inglese, limitava i poteri del Re, aboliva i privilegi feudali, stabiliva la parità dei cittadini di fronte alle leggi, garantiva la libertà di stampa e di pensiero, etc.

Per tutto il periodo erano proseguiti gli intensi rapporti tra gli aristocratici e non, che raccoglieva la nobiltà e l' intelligenza dell'isola, e la Gran Loggia di Inghilterra, la massoneria inglese finanziava l'impresa garibaldina in Sicilia

Per ristabilire una forte influenza sulla Sicilia, quando nel 1848 da Palermo cominciarono i moti che infiammarono il continente per i due anni successivi, l’Inghilterra sostenne il governo separatista siciliano, allo scopo di farne uno Stato autonomo retto da un principe di Casa Savoia. Ma la sconfitta di Carlo Alberto nella prima guerra d’indipendenza permise a Ferdinando II di intervenire in Sicilia e ristabilire la propria egemonia sull’isola.

Il Regno Unito accusò il governo di Napoli di essere causa del malgoverno che scatenò le proteste e in una nota inviata al governo di Napoli minacciò che “qualora Ferdinando II avesse violato i termini della capitolazione e perseverato nella sua politica di oppressione, il Regno Unito non avrebbe assistito passivamente a una nuova crisi tra il governo di Napoli e il popolo siciliano”.

12 gennaio 1848 a Palermo, in un anno colmo di rivoluzioni e rivolte popolari, si avvio quell'ondata di moti rivoluzionari che venne definita la primavera dei popoli.

Con un decreto del re delle Due Sicilie del 15 dicembre 1849 venne imposto all'isola un debito pubblico di 20 milioni di ducati. I lutti, il ripristino dell'assolutismo e le tasse avrebbero favorito, poco più di un decennio dopo, l'accoglienza dei picciotti siciliani all'impresa dei Mille.

Intanto i rivoluzionari, finanziati da Inghilterra e Piemonte, soffiavano sul fuoco del malcontento siciliano. Il 27 novembre 1859 il capo della polizia siciliana, Salvatore Maniscalco, operò efficacemente per mantenere il controllo borbonico nell'isola e per raggiungere questo scopo non si fece scrupolo di usare ogni mezzo, legale o illegale, prevenendo ogni tentativo rivoluzionario, perchè la sua scelta di campo fu sin dall'inizio quella del lealismo borbonico. Fu pugnalato mentre stava entrando in chiesa con moglie e figli per assistere alla messa, e rimase gravemente ferito, il sicario fu ricompensato da Garibaldi, mesi dopo, con una pensione.
Con una serie di misure eccezionali egli fece si che il controllò del territorio affidato a squadre di gendarmi ed una efficiente rete di spie e di informatori e col reclutamento di collaboratori negli ambienti della criminalità, raggiunse una azione repressiva tale, che nel 1854  provocò l'odio di liberali e malavitosi.
Espresse il suo pessimismo sugli eventi futuri in una lettera del 15 maggio 1860 al re:
«Mancava una mano intelligente e vigorosa per ben comandare l'esercito e rilevare il prestigio del governo quasi del tutto spento.»

Il 2 marzo 1860 Mazzini incitava alla ribellione i Siciliani. Il 4 aprile i comitati rivoluzionari di Palermo, coordinati da Genova da Francesco Crispi, accesero la miccia della rivolta.
Il 7 aprile 1860 un'assemblea degli esiliati napoletani a Torino approvò una deliberazione in cui tutti, salvo quattro, votarono per l'unione delle Due Sicilie al Piemonte.
Il 18 aprile 1860, Cavour, nelle sue vesti di ministro della Marina inviò navi da guerra in Sicilia, ufficialmente per proteggere i sudditi piemontesi presenti nell'Isola.


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