Dalla triscele alla zagara, dai pupi alle pigne, i simboli quando comunichi che sei siciliano

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Dalla triscele alla zagara, dai pupi alle pigne, i simboli quando comunichi che sei siciliano

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Pubblicato in Cultura e Società · Giovedì 07 Apr 2022
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Dalla triscele alla zagara, dai pupi alle pigne, i simboli quando comunichi che sei siciliano

Simboli che rappresentano la nostra Isola nell'immaginario di turisti e visitatori
Chiunque venga in vacanza o per una visita in Sicilia, come da tradizione, porta con sé un ricordo di questa.
Tra storia, tradizione e simboli, vi proponiamo i principali simboli della Sicilia che vengono riconosciuti a livello universale, così tanto per parlare.

Cominciamo dal simbolo per eccellenza: la triscele, che campeggia al centro delle bandiere sventolanti che rappresentano l’Isola, che significa letteralmente "tre gambe".
Più comunemente chiamata “trinacria”, la triscele è il simbolo più antico della Sicilia. Si tratta della rappresentazione di un essere dalla testa femminile, posta al centro del simbolo, da cui partono tre gambe piegate ad angolo. L’aspetto della testa rimanda chiaramente alle gorgoni, mostri della mitologia greca i quali capelli erano dei serpenti. Successivamente, accanto alla testa vennero aggiunte delle piccole ali, che simboleggiano il trascorrere del tempo, e 3 spighe di grano, a rappresentazione della fertilità delle terre dell’Isola. La storia sulle origini di questo curioso simbolo è davvero molto complessa. La triscele è stata adottata dal Parlamento Siciliano come parte integrante della bandiera siciliana, in cui è stata posta al centro della bandiera, su sfondo giallo e rosso aranciato.

Tra gli oggetti più “rassicuranti” e attualissimi c’è di sicuro il carretto siciliano.
Un tempo non lontano, tra il XIX secolo fino alla seconda metà del XX secolo, il carretto era adibito a mezzo per trasportare carichi di merci particolarmente pesanti. E’ divenuto un oggetto d’arte artigianale, nonchè uno dei simboli siciliani più conosciuti in tutto il mondo. Esistono svariati tipi di carretto siciliano, tutti diversi in base alla zona dell’isola in cui vengono costruiti. Ogni città ha il suo carradori.
Di rappresentazioni, non solo in stampa, in scala, in modellini tridimensionali, se ne trovano di tutti i materiali.

Chi viene in Sicilia si aspetta di mangiar bene la cucina mediterranea e ricerca principalmente, due tipiche preparazioni dolci: il cannolo, la cassata e la granita.

Come non menzionare sua maestà il Pupo siciliano poi, già patrimonio Unesco grazie alla figura di Mimmo Cuticchio, patrimonio immateriale dell’umanità con i suoi cunti, è di sicuro sul podio dei simboli della Sicilia.

Tra gli oggetti, invece, più facili da acquistare e portarsi dietro come souvenir ci sono le pigne, di varie forme di ceramica, che pochi sanno è un dolce, a Messina ha una particolarità per metà al cioccolato per l’altra metà al limone.

E il celeberrimo marranzano o scacciapensieri non lo vogliamo nominare.
Lo scacciapensieri, divenuto famoso grazie anche al suo impiego nel cinema, sebbene fosse appunto più usato nell’antichità per far passare il tempo, oggi è ancora molto richiesto tanto che viene prodotto anche artigianalmente, fate attenzione alla lingua una vera trappola.

Per i più nostalgici, infine, per coloro i quali basta un sentore per ricreare nella propria mente la scoperta di questa terra ricca anche di profumi, non possiamo dimenticare la zagara, con i suoi fiori, il suo inconfondibile profumo e ricordo di spensieratezza.

La coppola, anche chiamata còppula, è un berretto tipico della tradizione siciliana, in realtà ha origini recenti ed anglosassoni. Si pensa, infatti, che l’origine della parola “coppola” sia una traslitterazione dell’inglese ‘cap’, la cui traduzione è, appunto, cappello. L’uso della coppola, in Sicilia, sembrerebbe quindi risalire alla seconda metà dell’Ottocento, periodo in cui i nobili inglesi si recavano sull’isola per dedicarsi ai loro investimenti, ottimo sul carretto, il berretto, infatti, grazie anche alla sua piccola visiera, risultava essere perfetto per riparare gli occhi e la testa del pilota sia dai raggi del sole che dalla pioggia.

Che ci dimentichiamo delle Teste di Moro in ceramica, sono un simbolo della Sicilia riconosciuto in tutto il mondo, trasudano emozione.
Affonda le sue radici in un’antica leggenda che vide come protagonisti di una struggente vicenda un giovane Moro ed una bellissima fanciulla siciliana:
"Si narra che intorno all’anno 1100 d. C., durante la dominazione dei Musulmani in Sicilia, detti anche Mori, nel quartiere arabo di Palermo detto “Al Hàlisah” l’eletta, presso il quartiere della Kalsa, vi abitasse una bellissima fanciulla che trascorreva le giornate a curare i fiori del suo balcone. Un giorno, un giovane moro, passando sotto il balcone della fanciulla, la notò mentre accudiva le sue piante e se ne invaghì perdutamente.
Le dichiarò subito il suo amore e la bella ragazza, colpita dall’audacia del pretendente, ricambiò il sentimento.
Purtroppo il giovane moro era già sposato e aveva un paio di figli e quando la fanciulla seppe che sarebbe partito per tornare dalla sua famiglia in Oriente, attese la notte e lo uccise in pieno sonno.
Gli tagliò la testa, ne fece una “grasta” un vaso in cui piantò dell’odoroso basilico e lo mise in bella mostra fuori dal balcone. Il moro, così, non potendo più partire rimase per sempre con lei.

No, non ci siamo dimenticati della lupara, ma ahimè per lupara non si intende il tipo di fucile, ma il modo di preparare i pallettoni, che vengono legati con del filo d'acciaio in modo da accrescere l'effetto dilaniante sulle carni dell’animale, il lupo che attaccava le pecore. Se diversamente impiegata la cartuccia era facile  riconoscerla, metodo della lupara.
Anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne "Il Gattopardo" usa il termine per indicare non il fucile ma il suo munizionamento: "[...] lo hanno trovato morto [...] con dodici lupare nella schiena".



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